Strage di Brescia, se questa è giustizia

È la mostruosa lentezza della Legge ad aver ucciso la verità su Piazza della Loggia

Strage di Brescia,  se questa è giustizia

La Corte d’Assise d’appello di Brescia ha assolto i neofascisti Carlo Maria Maggi, Del­fo Zorzi, Maurizio Tramonte, e con lo­ro il generale dei carabinieri Fran­cesco Delfino, dal­l’accusa d’essere stati autori o com­plici della strage di piazza della Log­gia a Brescia (28 maggio 1974 con un tremendo bi­lancio di otto mor­ti e un centinaio di feriti). Contro Pi­no Rauti, anche lui imputato nel pre­cedente giudizio e come gli altri pro­sciolto, la Procura non aveva presen­­tato ricorso. Le par­ti civili dovranno pagare le spese processuali. È sta­ta dunque posta, trentotto anni do­po, una pietra tombale su uno de­g­li episodi che funestarono gli an­ni di piombo? Piano, evitiamo gli annunci pre­maturi.

Quando saranno rese no­te le motivazioni della sentenza la procura deciderà se invocare o no una pronuncia della Cassazione. Se lo farà questo incredibile e inammissibile itinerario giudizia­rio avrà una nuova tappa, e Dio non voglia che in tal caso la Cassa­zione rinviasse tutto a un quinto processo (ne sono stati celebrati già quattro). Come la strage di piazza Fontana, anche quella di piazza della Loggia rimane senza colpevoli.I rappresentanti dell’a­c­cusa sembrano ormai rassegnati a quest’esito deludente dell’inchie­sta. Hanno dichiarato che è stato fatto tutto il possibile e che ora la vi­cenda viene affidata alla storia. Mi guardo bene dall’associarmi al colpevolismo senza se e senza ma, oltretutto dettato da motivi ideologici o politici e non da una autentica voglia di verità, di chi si sentirebbe adesso appagato se al­cune pesanti condanne fossero state inflitte, pur in mancanza di prove convincenti, agli imputati. Resta fermo il principio secondo cui la mancata punizione d’un reo è molto meno grave della condan­na d’un innocente. Ma anche qui, come in altri tene­brosi misteri dei palazzacci italia­ni, siamo di fronte a un mostro giu­diziario: mostro anzitutto per l’inaudita lentezza.

Una legge che a distanza di qualche mese o al più di qualche anno dai fatti dice a chi è stato incriminato «ti ritengo col­pevole » o «ti ritengo innocente» è una legge seria. Se invece si smarri­sce in una selva di carte per quasi quarant’anni senza approdare a nulla quella vera legge è soltanto una parodia. Mostro inoltre per il viluppo di nomi e di udienze attra­verso i quali si è dipanato.

È senza dubbio leale, ma anche scorag­giante e un po’ comodo, che i magi­strati consegnino alla storia ciò che avrebbero dovuto chiarire nel­la cronaca. Se uno segue appena un po’ il percorso di questi fascico­l­i ha una sensazione di smarrimen­to. Cambiano le sedi dei processi, cambiano i giudici, cambiano gli avvocati ma cambiano, ed è abba­­stanza sorprendente, anche gli im­putati.

S’è visto qualcosa di simile per piazza Fontana. Nel remoto 2 giugno 1979 Er­manno Buzzi era stato condanna­to all’ergastolo per la strage, e An­gelino Papa a 10 anni. Due anni do­p­o il Buzzi fu strangolato nel carce­re di Novara dai «neri» Mario Tuti e Pierluigi Concutelli. Senonché in una successiva fase del roman­zaccio, Buzzi fu dai giudici defini­to, in una loro motivazione, «un ca­davere da assolvere », dal che si do­v­rebbe dedurre che gli avevano in­flitto l’ergastolo a torto. Non tento nemmeno di ricostru­ire passo passo questo incedere brancolante e vacillante della giu­stizia. Lenta fino all’«avanti quasi indietro» dei vaporetti di Venezia. Inoltre contraddittoria spesso e volentieri nelle conclusioni, fatta di garbugli e di marce e retromar­ce, non di certezze (magari fosse­ro le incertezze tempestive, nel­l’imposssibilità di raggiungere la verità).

Da questo fosco Grand Guignol, da questi sfoggi di arche­ologia giudiziaria, i cittadini co­muni non ricavano altro che dub­bi e indignazione vera.

Da non confondere con l’indignazione stentorea di quanti profittano di queste vicende per risfoderare tut­ti luoghi comuni sulle stragi di Sta­to, sulle complicità politiche, su un revival neofascista che si trasci­nerebbe da decenni, e spieghereb­be le assoluzioni. Rimane una veri­tà sacrosanta: la giustizia italiana è malata e incapace. Ma questo lo sapevamo già.

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