Stupri a Roma, viaggio nella Capitale delle violenze

Tra degrado e sbandati, la Capitale è diventata off limits soprattutto per le donne. Dopo gli episodi di violenza dei giorni scorsi, ci siamo finte turiste e abbiamo toccato con mano l'insicurezza che pervade la città

Stupri a Roma, viaggio nella Capitale delle violenze

Sembra passato un secolo dal viaggio di Anna. Era il 1953 quando il cinema hollywoodiano rese iconiche la magia e la spensieratezza delle “Vacanze Romane”. La scenografia è sempre la stessa. Il Colosseo, il Lungotevere, il Cupolone e le altre meraviglie senza tempo sono ancora lì. Ma oggi, come testimoniano i casi di violenza degli ultimi giorni, ad attendere le turiste non c’è più Gregory Peck in sella ad una Vespa. Roma, per chi non la conosce a fondo, è diventata sempre più pericolosa.

Cartina alla mano, ci siamo finte straniere in vacanza nella Capitale e abbiamo percorso gli itinerari turistici più gettonati, toccando con mano le insidie che la città ormai riserva soprattutto alle donne (guarda il video).

La nostra giornata inizia con una passeggiata nel parco archeologico di Colle Oppio, a due passi dal Colosseo. Qui, qualche giorno fa, un’americana è scampata ad un tentativo di stupro in pieno giorno. A strattonarla per un braccio per trascinarla nella sua baracca, è stato un ivoriano che, assieme ad altri stranieri, si era accampato nel cantiere della Domus Aurea. Simbolo di un degrado invincibile, l’ammasso di teli e cartoni è ancora lì. Mentre passeggiamo in direzione Colosseo, incappiamo in un’operazione di polizia. Un migrante si è appena esibito in uno spogliarello per poi gettarsi nella fontana del Canestro. Sono le 17 del pomeriggio ed il giardino è affollato di mamme e bambini. L’uomo, caricato a bordo di una volante, viene portato via da due agenti. È un clandestino e quindi, teoricamente, dovrebbe lasciare autonomamente il Paese entro sette giorni. Ma questo "non accade quasi mai", commenta amaramente uno dei due poliziotti.

A Piazza Vittorio le cose non vanno meglio. Anche qui sono i giardini pubblici ad attirare una folla di sbandati che ciondola, beve e fuma hascisc appoggiata alle cancellate. Gli passiamo accanto ed è sempre il solito refrain: “guape”, “bonite”, “hey baby”. Poi ci sono gli occhi, quella gente ce li punta addosso come fari, quegli sguardi ce li sentiamo fin sotto i vestiti. Sono ancor più insistenti degli apprezzamenti. Ad un certo punto veniamo avvicinate da un anziano residente, si è preoccupato vedendoci in balia di quella ridda di commenti. “Non gli date retta, questa è gente pericolosa, qui c’è di tutto, Piazza Vittorio è un centro multietnico, ci sono parecchi delinquenti”. E poi, aggiunge, “fanno così solo perché siete donne, bel modo di rimorchiare”.

Ci lasciamo il brusio alle spalle e attraversiamo la strada per raggiungere la stazione Termini. Tristemente nota, soprattutto in questi giorni, per aver fatto da cornice ad uno stupro. Anche stavolta la vittima è una turista, una finlandese caduta nelle grinfie di un lavapiatti bengalese. Inizia a calare la notte, le strade si fanno scure ed il senso di insicurezza aumenta. Non si possono chiedere indicazioni, meglio evitare. Domandiamo ad un gruppo di africani “dov’è il tabaccaio più vicino?”. Ci sentiamo rispondere da una mano che ci sfiora il braccio e siamo costrette ad allontanarci. Lungo via Giolitti due uomini stanno tirando cocaina sulla sella di un motorino, sono così concentrati che nemmeno si accorgono del nostro passaggio. Più in là, una comitiva di mediorientali ha occupato il marciapiede. Attraversiamo il branco, e ci viene offerta della droga. Non rispondiamo. E uno di loro sibila: “Allah akbar”. Adesso sì che abbiamo la pelle d’oca e non facciamo in tempo a tranquillizzarci perché sentiamo gridare. Sono grida disperate, quelle di una giapponese a cui è appena stato appena sfilato di mano un I-Phone. Assistiamo al parapiglia, impotenti, mentre un anziano senzatetto urina sul cancello di Palazzo Massimo.

Decidiamo di cambiare zona ma, mentre ci allontaniamo, ci sentiamo chiamare da un ragazzo senegalese. Scende dalla transenna dov’è appoggiato e ci abborda parlando in inglese. Vuole sapere da dove veniamo, se siamo turiste. Chiede se può unirsi a noi per passeggiare. Per fortuna riusciamo a lasciarlo lì con una scusa e proseguiamo verso la nostra ultima tappa, San Pietro. Lungo il colonnato di via della Conciliazione troviamo le solite scene di ordinario degrado. All’ombra del Cupolone una pletora di senzatetto si sta preparando per la notte. Nessuno cammina sotto i portici, ci sono troppi sbandati e così i turisti preferiscono passare altrove. Noi, invece, ci avventuriamo. Ad un certo punto, a ridosso del sottopassaggio del Terminal Gianicolo spunta una favela. Non abbiamo ancora azionato la videocamera quando, da dietro, una voce sinistra domanda: “Ci tenete al cellulare?”. Si tratta di un romeno che minaccia di romperci il telefono.

Si avvicina sempre di più e, quando lo avvisiamo che stiamo per chiamare la polizia, ci risponde beffardo: “La polizia non mi fa nulla, l’ho già fatto altre volte”. Alla fine di questa esperienza, una cosa è certa. Il miglior souvenir che portiamo a casa da Roma è la "pelle".

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