Sul Mes i 5 stelle ricattano il premier: blocchiamo tutto

L'ultimo segnale che in Parlamento si rischia l'Apocalisse, è quella lettera che 17 senatori e 52 deputati 5stelle hanno inviato ai vertici del movimento, minacciando di non votare la riforma del Mes

Sul Mes i 5 stelle ricattano il premier: blocchiamo tutto

L'ultimo segnale che in Parlamento si rischia l'Apocalisse, è quella lettera che 17 senatori e 52 deputati 5stelle, tra cui un ministro e un sottosegretario, hanno inviato ai vertici del movimento, minacciando di non votare la riforma del Mes. Poi, naturalmente, c'è scritto tra le righe che il «no» sarebbe motivato dal fatto che non è accompagnata da un pacchetto di norme, cioè la solita strada estremamente tortuosa della liturgia grillina per addivenire a un'intesa, ma quest'ennesimo episodio della pochade che avvolge la vita del governo, della sua maggioranza e, per alcuni versi, dell'opposizione, dimostra che siamo arrivati al bagnasciuga dell'ultima spiaggia.

Basta guardarsi attorno per rendersene conto. Roccobello Casalino, portavoce del premier, deve fare gli straordinari a Palazzo Chigi per difendere Conte da gaffe o supposti scandali. Tutte «vicende» che dalla «tradizione orale» delle Iene (servizi in tv non ne sono stati trasmessi), passando per qualche giornale, stanno approdando in Parlamento. La senatrice azzurra Gabriella Giammanco li ha messi in fila: «dalla compagna del presidente del Consiglio beccata al supermercato con la scorta, alla voce di una cena a fine ottobre in un ristorante romano (l'Enoteca Achilli, ndr), aperto giustapposta per la coppia presidenziale mentre il Dpcm diramato dallo stesso Conte chiudeva alle 18 del pomeriggio tutti i locali del Belpaese. Fatti che, se provati, non potrebbero non far discutere». Anche perché si aggiungerebbero alle tante contraddizioni comportamentali del premier di questi mesi, che, naturalmente, hanno fatto arrabbiare non poco le categorie che sono state penalizzate dalle norme che hanno regolato i mezzi lockdown di queste settimane. Ad esempio, leggere nel verbale del Comitato tecnico scientifico del 17 ottobre che gli scienziati non avevano chiesto la chiusura dei ristoranti, ma solo una maggiore intensificazione dei controlli per verificare l'applicazione delle norme anti-virus, e sapere che esattamente il giorno seguente, il 18 ottobre, Conte ha spiegato ai rappresentanti di categoria che non poteva non chiudere i locali «perché messo con le spalle al muro dal Cts», non può che lasciare perplessi. Se, poi, le notizie delle cene a lume di candela del premier risultassero vere, le perplessità si trasformerebbero in sgomento.

Il punto vero, però, è un altro e riguarda i meccanismi del potere. Quando le voci che mettono in imbarazzo un premier si moltiplicano, significa che l'equilibrio politico che lo sorregge o è messo a dura prova, o si sta rompendo. E da questo punto di vista i segnali di fumo si stanno moltiplicando a dismisura. In Matteo Renzi «la voglia di rimpasto» si sta trasformando sempre più in «voglia di crisi di governo» e più Conte si oppone e più la soluzione potrebbe prescindere dal suo nome. Nel Pd le paure e l'indecisione di Zingaretti si scontrano con lo scontento del partito, con il capogruppo della Camera Graziano Delrio che ricorda a Conte che «non è premier per grazia ricevuta, ma perché lo hanno voluto lì Zingaretti e Di Maio». Fino alla follia dei «buchi neri» della galassia grillina, che potrebbero inghiottire qualsiasi governo.

Insomma, ci sono le condizioni atmosferiche per cui il 9 dicembre, quando il Parlamento dovrà dire sì alla riforma del Mes, si scateni la tempesta perfetta o si inneschi un processo che da qui a gennaio porterebbe alla fine del Conte Due. Inoltre la scelta di Berlusconi di non votare la riforma ha sì messo a dura prova un partito come Forza Italia che da 25 anni è in un Ppe schierato a favore, ma sull'altro versante ha messo a nudo le contraddizioni della coalizione giallorossa. «Il Cav si lamenta il ministro per le politiche Ue, Vincenzo Amendola questa volta non l'ho capito. Era diventato centrale con la sortita sullo scostamento di bilancio, ora è tornato indietro. Boh! Ma come si fa a dire no, quando tutta l'Europa è d'accordo!? Critichiamo Orban per la politica dei veti e li mettiamo noi! La scelta di Berlusconi, comunque, mette i grillini di fronte alle loro responsabilità. Dire no provocherebbe una tragedia. Speriamo che il tempo porti consiglio».

I Cinquestelle, cioè il «magma» che condiziona questa legislatura. Da quelle parti non si ragiona sui numeri, ma su una questione ancora più problematica. In uno dei corridoi di Palazzo Madama, uno degli astri del «grillismo» di governo, Stefano Patuanelli, ragiona sul momento. «Se mi rimpastano, mi fanno contento», esordisce ridendo. Poi spiega: «Se ora si facesse una cosa grossa potrei pure capire, ma un rimpastino...! Su!». Poi Patuanelli, pone la vera questione che preoccupa i grillini sul Mes: «Non è un problema di numeri. Al massimo in quattro voteranno contro in Senato. È il rischio politico. Se noi votassimo la riforma eppoi il Dibba si alzasse e ci accusasse di aver tradito l'identità grillina, il problema si porrebbe, eccome!». «Più di quattro gli va dietro il reggente Vito Crimi non li perdiamo, i numeri sono quelli». Semmai è l'uso che di questa vicenda farà chi resterà fuori. «Il Mes per noi spiega il sottosegretario Gianluca Castaldi è un problema identitario che va gestito tutti insieme, se qualcuno non ci sta, è un casino».

Si ripropone, quindi, il meccanismo perverso che blocca il governo giallorosso: il Che del movimento, Di Battista, con la minaccia di «processare» i traditori sui social, si tira dietro il grillismo moderato; che, a sua volta, si trascina il Pd con la minaccia di far saltare l'alleanza. Una meccanismo che paralizza tutto, foriero di compromessi al ribasso che fanno felice il premier ma uccidono il Paese. Un processo «perverso» che contagia pure l'opposizione. Fa impressione sentire dire a Elio Lannutti, il Savonarola grillino: «Berlusconi ha fatto bene!». Lui applaude, mentre gli azzurri sono divisi: c'è chi è pronto ad assecondare Salvini come Licia Ronzulli o Niccolò Ghedini; e chi, invece, ha delle remore a seguire il leader leghista su un no alla riforma del Mes, che rischia di far scoppiare una bomba atomica sul sistema bancario europeo con possibili ripercussioni indirette sul Recovery fund. «Io voterò a favore già annuncia Renato Brunetta in nome del Ppe». E in mezzo c'è il Cav che, con il telefono rovente per le chiamate che gli arrivano dall'Europa, è diviso tra il desiderio di un'altra strambata, che lo riavvicini alla vecchia rotta, e la paura che un'ulteriore svolta possa mettere a dura prova la fregata del centrodestra.

La verità è che tutti i nodi stanno venendo al pettine: c'è un «gap» di autorevolezza nel governo, che si ripercuote sull'opposizione. «Se la riforma del Mes l'avesse posta Draghi sostiene l'azzurro Andrea Cangini chi avrebbe potuto dire di no! Invece, al suo posto c'è un cogl...!». Già, con Draghi sarebbe stata tutta un'altra cosa, ammette allargando le braccia in senso di assenso, un leghista come Giancarlo Giorgetti. La palude, invece, consuma tutto. «Queste coalizioni è il sarcasmo di Gaetano Quagliariello sono sepolcri imbiancati». «Io anticipa il suo socio, Paolo Romani voterò a favore del Mes.

Berlusconi? Lo illudono con il Quirinale... Non si capisce più niente. È il festival degli irresponsabili. Siamo arrivati al punto che ci sono senatori con il Covid asintomatici che girano tranquillamente per il Palazzo».

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