Tre domande (per riflettere) sulla scuola nell'emergenza Covid

Da qualche giorno si parla di patti di comunità: ma questi patti non sono, sotto mentite spoglie, la stessa cosa delle convenzioni che sono alla base della vita della scuola paritaria?

Tre domande (per riflettere) sulla scuola nell'emergenza Covid

Fermiamoci tutti. Osserviamo cosa sta accadendo e riflettiamo. Il Covid 19 sta modificando le nostre vite, il nostro modo di pensare e di agire, sta cambiando la nostra società. C’è un prima e c’è un dopo il 21 febbraio, come c’è un prima e c’è un dopo l’11 settembre. Come in tutte le situazioni di cambiamento, la scuola è la prima realtà ad esserne investita. Se in positivo o in negativo, sta a noi determinarlo. E’ ovvio che il mondo della scuola percepisca per primo il mutato contesto: la novità diventa quotidianità. La scuola, infatti, è una delle poche realtà che non vive se non di relazioni, essendo fatta di persone, appartenenti a generazioni diverse, che si incontrano e interagiscono.

Non è un caso che la scuola sia la prima agenzia ad essere stata chiusa e l’ultima a riaprire. In questo cambiamento nato dall’emergenza ciascuno di noi può fare la propria parte, così come la politica la sua. Il focus, come sempre, sono i cittadini, in particolare i più giovani. Non voglio né attaccare né difendere nessuno: la precarietà della situazione nella quale versa oggi la scuola italiana non è imputabile né alla Ministra Azzolina né ai Cinque Stelle. Scontiamo colpe che hanno radici lontane. Ora, però, occorre fermarsi e farsi un semplice esame di coscienza, partendo da queste poche domande: sono così convinto che solo la scuola statale svolge un servizio pubblico, nonostante la legge 62/200 e che, conseguentemente, la scuola paritaria debba essere eliminata?; Non capisco che, affossando la scuola paritaria, comprometto definitivamente la scuola statale?; Posso essere così pervicace nel percorrere una via che conduce al tracollo del sistema scuola?; Se lo sono, me ne voglio assumere la responsabilità? Chi è convinto di tutto ciò osservi dall’altra parte (come è brutto parlare di parti quando si ha a che fare con l’educazione delle nuove generazioni!) cosa fanno le scuole paritarie: hanno già offerto i loro spazi alle scuole statali per consentire il distanziamento richiesto. Porgi l’altra guancia? Va bene, mettiamola pure così.

Da qualche giorno si parla di patti di comunità: ma questi patti non sono, sotto mentite spoglie, la stessa cosa delle convenzioni che sono alla base della vita della scuola paritaria? Abbiamo il coraggio di dire la verità: il Governo non sa se e come può ripartire la scuola statale perché non sa quante delle 12 mila sedi scolastiche paritarie potranno riaprire a settembre, quanti dei 900 mila allievi che attualmente frequentano la scuola paritaria la scuola statale dovrà accogliere e dove collocare 7 Mln di studenti nelle 40 mila sedi scolastiche statali. Dunque le scuole paritarie servono alla scuola statale? La risposta è sì. Lo abbiamo tante volte dimostrato. Ma la risposta più corretta sarebbe: le scuole statali e le scuole paritarie servono, insieme, al bene dei giovani, della società, della nazione. Tutto qui. Cuore della questione, ricordiamolo, non sono i soldi ma le persone, in particolare il diritto della famiglia a scegliere la scuola per il proprio figlio, statale o paritaria. I soldi (dati alle famiglie, intendiamoci) sono il mezzo per garantire il diritto: se ben spesi, si crea un circolo virtuoso a beneficio dei cittadini, se spesi in modo sconsiderato, si crea un circolo dannoso a danno dei cittadini. Oggetto di attenzione rimangono sempre i cittadini e i loro diritti, sia ben chiaro.

Questo tema è stato affrontato da tutti i punti di vista: economico, giuridico, culturale. Studi, approfondimenti, dirette Facebook, interviste hanno sviscerato ogni aspetto della questione: è evidente che, se non si abbassa la bandiera dell’ideologia, non ci sarà alternativa per la scuola. O meglio, l’alternativa c’è: dividere in due la società. Scuole pubbliche statali sempre più al collasso, scuole pubbliche paritarie costrette, per sopravvivere, ad alzare le rette. I ricchi sceglieranno, i poveri no. Il ragionamento è logico, mi pare. E’ evidente che ci troviamo in questa situazione non certo per colpa di questo Governo o solo a causa del covid-19 che ha solo accelerato un processo già in atto da tempo: un sistema iniquo che rischia di diventarlo ancora di più. In nome della scuola per tutti, si rischia di non garantire a nessuno un percorso scolastico serio e realmente educativo. Mi sia consentito: basta con la solita storia per la quale le scuole paritarie sono dei postifici e dei diplomifici, scuole che rilasciano titoli di studio non attendibili, alterano le graduatorie statali, hanno bilanci non verificati, regalano i titoli di studio, non pagano gli stipendi al personale. E’ vero, ci sono situazioni del genere, ma sono una piccolissima minoranza che, tra l’altro, vive grazie a connivenze e reti clientelari. Ma tutto il resto della scuola paritaria è realtà ben diversa, è realtà fatta di impegno, di cultura, di passione, di fatica. Esattamente come la buona scuola pubblica statale. Creiamo le condizioni perché la scuola sia veramente buona per tutti: per farlo bisogna chiarire realmente che rapporto vuole avere lo Stato Italiano con la scuola. Questo è un punto imprescindibile. Garante? Controllore? Gestore unico? Guardiamo alle bozze delle Linee guida per la riapertura di settembre: le soluzioni che emergono sono realmente intuizioni interessanti (autonomia e parità fatta passare per patti di comunità), ma che si scontrano con la realtà che di fatto le impedisce. Autonomia non significa infatti imparare l’arte di arrangiarsi. I dirigenti della scuola statale potranno finalmente avere l’autonomia (sono anni che diciamo che serve alla scuola statale) ma senza strumenti, ossia le risorse: un fallimento annunciato. Se la scuola a settembre non riparte, sarà colpa dei dirigenti scolastici che, alla fine, sembreranno degli incompetenti. E’ giusto tutto questo? E’ una situazione degna di uno Stato di diritto? La mancata realizzazione dell’autonomia e il diritto negato alla libertà di scelta educativa sono problemi certamente non imputabili a questo Governo, che, però (e questo fa la differenza!), è il solo ad avere ora, in questo momento della nostra storia, l’opportunità di risolverli per sempre. Come? Approvando i 7 emendamenti e, in particolare, quello relativo alla detraibilità integrale del costo delle rette versate dalle famiglie alle scuole pubbliche paritarie nei mesi di sospensione della didattica, con tetto massimo di 5.500 euro (che poi è il costo standard di sostenibilità per allievo): ciò sanerebbe anni di discriminazione subita dai genitori, dagli alunni e dai docenti più poveri. Non è un favore ai ricchi: tutt’altro! I numeri parlano con la loro schiacciante evidenza. Oltre alla detraibilità integrale delle rette, due altri provvedimenti sono necessari: 1) fondo straordinario alle scuole paritarie per scontare la retta pagata in tempi di Covid-19; 2) esonero dal pagamento dei tributi locali per il 2020 causa emergenza Covid-19. E, infine, siglare patti di comunità con le scuole paritarie, utilizzando le 40.749 sedi scolastiche statali e le 12.564 sedi paritarie per consentire agli 8.466.064 studenti di ritornare in classe in sicurezza. Se non si adottano questi provvedimenti, la scuola non riparte. Il guaio è che si dirà che è colpa dell’incapacità dei dirigenti scolastici di gestire le scuole in autonomia e dei docenti che a luglio ed agosto sono andati in vacanza, diritto di cui non possono beneficiare visto che erano a casa da febbraio. Oltre al danno, la beffa. Lo ripeto: è necessario agire ora, non ad agosto con misure di emergenza che risulterebbero inutili oltre che dannose. Nelle emergenze per agire occorre unirsi, stringere alleanze, abbattere i muri dell’ideologia. Le Linee guida parlano di “patti di comunità”: benissimo. Scuola pubblica, statale e paritaria, unita per ricostruire gli Italiani e la loro cultura. Le 12.000 scuole paritarie hanno spazi, aule pronte, teatri, palestre non solo per i 900 mila allievi che le frequentano ma anche per una buona percentuale dei 7 Mln di studenti.

Chiediamo ai genitori di questi studenti cosa preferiscono: che la scuola non riparta? Fare km al giorno per mandare i figli a scuola? Vedere i propri figli mandati a scuola in parchi e teatri? Non sarebbe preferibile, passatemi il termine, “sfruttare” l’opportunità offerta da una buona scuola pubblica paritaria, mandandovi il proprio figlio, a costo zero, perché il genitore ha già pagato le tasse? Il problema è però che nei patti di comunità non si parla di paritarie. Quindi la situazione che si profila è la seguente: le scuole paritarie chiudono, le scuole statali non riaprono o, se riaprono, usano spazi per la didattica del tutto inadeguati. Chi ci guadagna? Non saprei. So benissimo, invece, chi ci perde: il Paese. Non possiamo ammettere che la scuola statale ha bisogno della scuola paritaria? E’ quanto Padre Luigi Gaetani, presidente CISM, aveva delineato, oserei dire quasi profeticamente, il 16 Aprile 2020 in una Nota congiunta USMI e CISM: “Il nostro senso civico ci porta non solo a chiedere ma anche a dare quello che possiamo, perché questo tempo necessita di creatività e collaborazione. Offriamo allo Stato, da parte nostra, la possibilità di valutare, per far fronte alla emergenza del coronavirus nelle scuole che, senza dubbio, avranno bisogno di garantire un sufficiente "distanziamento sociale", di poter utilizzare, previo accordo, parte degli edifici degli Istituti delle scuole pubbliche paritarie, in una sorta di "patto educativo e civico", perché crediamo che la riapertura delle scuole a settembre segnerà la effettiva rinascita del nostro Paese, dopo questo inverno sociale, economico e culturale”. Questo messaggio (che le conferenze USMI e CISM in una Nota del 26.06.2020 rilanciano in modo sempre più generoso) dimostra un profondo senso di responsabilità, una proposta costruttiva nata dall’emergenza. Lo sappiamo: spesso occorrono le emergenze per trovare le soluzioni migliori e durature.

Basta la volontà di trovarle e realizzarle. Pensiamo a quanto è successo nel 2013 a Milano: date le liste d’attesa presso gli asili comunali, il sindaco Pisapia, che fino a quel momento aveva ignorato il mondo delle paritarie, comprese che conveniva a tutti dare 2mila euro di quota capitaria alle famiglie le quali liberamente avrebbero da allora potuto scegliere la scuola paritaria in grado di accogliere i loro bambini. In questo modo le liste d’attesa furono eliminate con soddisfazione di tutti: le mamme tornano al lavoro, i cittadini vedono ben speso il denaro proveniente dalle tasse, il Comune risparmia (a fronte dei due mila euro dati alla famiglia, ne avrebbe dovuti spendere 8). Le buone idee non mancano, ora come in passato.

Come si vede non si tratta di idee politiche diverse, si tratta di agire in modo responsabile nei confronti dei cittadini, per il presente senza comprometterne irrimediabilmente il futuro. Non è questo il dovere di ogni cittadino, in particolare di chi siede in Parlamento?

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