Non accennano a placarsi le polemiche dopo l’annuncio del presidente della provincia autonoma di Trento Maurizio Fugatti di aderire al Decreto sicurezza, tagliando così i fondi ed i servizi messi a disposizione dei migranti.
Le prime rimostranze erano arrivate da parte dei sindacati, che hanno parlato di pesanti ripercussioni sui lavoratori trentini occupati nel settore dell’accoglienza, con “decine di licenziamenti”.
Da qui la replica del presidente del Consiglio provinciale Walter Kaswalder, che si è detto stupito per lo scenario apocalittico dipinto da chi dovrebbe occuparsi di questioni del genere con l’unico scopo di fare del bene al prossimo. “Credevo che chi si occupa di accoglienza lo facesse per volontariato, ho scoperto invece che è un business non da poco”. Queste le parole del presidente rilasciate al quotidiano “L’Adige” e riportate da “TrentoToday”, che hanno scatenato la dura reazione di chi gestisce i centri d’accoglienza.
Si tratta soprattutto di cooperative sociali o associazioni, che hanno assunto all’incirca 150 lavoratori in questi anni in cui l’accoglienza è divenuta più di un’opera pia. “Giovani con levate professionalità, assunti in base a capitolati d'appalto emessi dalla stessa Provincia di Trento”. Il comunicato di replica a Kaswalder è firmato dai rappresentanti del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca), del Centro Astalli, della onlus Atas, dei Gesuiti e delle cooperative Forchetta, Arcobaleno, Rastrello, Samuele, Kaleidoscopio e Punto d’Approdo.
Le associazioni ci tengono, comunque, a precisare che i volontari sono una parte importante nell’accoglienza. “Il preziosissimo volontariato, invece, è offerto gratuitamente come impegno civico. A loro non è necessariamente richiesta competenza particolare, perché non si sostituiscono mai ai lavoratori, ma sono chiamati a sostenerli, senza vincoli particolari”. L’azione dei volontari, comunque, non è evidentemente sufficiente ed ecco che l’interesse per l’accoglienza viene strettamente a legarsi con insospettabili necessità economiche. La replica delle associazioni si limita, tuttavia, a dare una definizione semantico-legislativa della terminologia “no profit/senza scopo di lucro”, senza soffermarsi su altre problematiche.
“Essere senza scopo di lucro non significa che viviamo solo di volontariato, ma piuttosto che abbiamo la caratteristica, o il vincolo, della non ridistribuzione degli utili ai soci. Da qui il nome: “non profit”. Gli eventuali utili, necessari come in qualunque realtà economica, che facciamo vengono reinvestiti all’interno dei servizi, o destinati alla comunità. A rigor di logica, essendo Lei chiamato a gestire “il bene pubblico” dovrebbe sostenere le persone e le organizzazioni che non guardano al loro personale interesse, quanto piuttosto al bene della collettività.
E lo fanno non “a parole” ma destinando al bene collettivo i propri utili”. Ciò nonostante, probabilmente, il presidente del Consiglio provinciale di Trento non avrà comunque trovato una risposta per rimediare alle sue perplessità sul tema.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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