Nei giorni scorsi l'iniziativa di Giorgio Fidenato contro il sostituto d'imposta, l'obbligo per le imprese di trattenere imposte dirette e contributi previdenziali e consegnarle allo Stato, ha conosciuto un'altra battuta d'arresto. Da anni l'imprenditore friulano è impegnato ad affermare il principio dell'eguaglianza di fronte alla legge, chiedendo che i lavoratori dipendenti abbiano lo stesso status di quelli autonomi. In particolare, Fidenato e i suoi avvocati hanno avviato iniziative legali per far sì che le imprese non siano più costrette ad operare quali agenti del sistema tributario, contro il dettato della Costituzione che vieta ogni corvée e l'imposizione di qualsiasi altra forma di prestazione lavorativa senza corrispettivo. A distanza di cinque anni dal rigetto del ricorso da parte della Corte d'appello di Trieste, ora un'ordinanza della Corte suprema di Cassazione ha confermato quella decisione, ma le cose non finiscono qui. Fidenato, infatti, ha già annunciato l'intenzione di portare la questione alla Corte europea dei diritti dell'uomo. La speranza è che questo tribunale riconosca l'inciviltà di un ordinamento che, nei fatti, nega perfino i principi affermati dalla Costituzione.
Se Fidenato non si ferma è perché la posta in gioco è alta. In sostanza, mentre ogni lavoratore autonomo versa allo Stato quanto deve, i lavoratori dipendenti non vedono i propri redditi reali, poiché le imprese consegnano loro soltanto il netto e danno allo Stato imposte e contributi. In tal modo non solo abbiamo un aggravio di lavoro per le aziende, ma soprattutto l'apparato pubblico riesce ad occultare dinanzi ad impiegati e operai l'entità del suo costo. E se i sistemi rappresentativi si reggono sul principio «conoscere per deliberare», questo prelievo occulto è pure un vulnus alla democrazia. Tutti sanno che saremmo in un'Italia ben diversa se ogni lavoratore ricevesse per intero lo stipendio e poi dovesse versare all'erario molte migliaia di euro all'anno; esattamente come fanno negozianti o artigiani. Questa battaglia per porre tutti sullo stesso livello era stata avviata due decenni fa dai radicali, che raccolsero le firme per un referendum che fu bocciato dalla Consulta.
Nei giorni scorsi, a richiamare l'importanza di accantonare il sostituto d'imposta, è stato Carlo Bonomi, presidente di Confindustria. Questo ci dice che i tempi sembrano maturi. Speriamo solo che ci sia un giudice a Strasburgo.
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