Ubriachi di parole

Abbiamo assistito a due campagne elettorali, politiche e regionali, in cui il Pd, e non solo, ha rimarcato quotidianamente le supposte divisioni all'interno della maggioranza sull'appoggio all'Ucraina

Ubriachi di parole

Abbiamo assistito a due campagne elettorali, politiche e regionali, in cui il Pd, e non solo, ha rimarcato quotidianamente le supposte divisioni all'interno della maggioranza sull'appoggio all'Ucraina. Una volta erano tirate in ballo le parole di Berlusconi, un'altra quelle di Salvini. Ieri il centro-destra, com'è sempre stato, ha approvato una mozione unitaria al Senato sulla linea di fornire armi a Kiev per resistere ai russi e naturalmente sulla necessità di tentare tutte le vie per arrivare al cessate il fuoco e avviare il negoziato. L'opposizione, invece, si è divisa in tre e i grillini hanno scritto nero su bianco, senza mezzi termini, che bisogna cessare di armare gli ucraini. Se ci fosse stato un governo giallorosso, insomma, Zelensky e i suoi sarebbero stati abbandonati a se stessi.

Questi sono i fatti ma purtroppo la sinistra si ubriaca solo di parole: su quelle degli altri instaura processi; con le sue invece nasconde le proprie contraddizioni e quelle dei potenziali alleati. Poi magari oggi i commenti si concentreranno sui dubbi del capogruppo leghista Romeo. Ma siamo, appunto, alle parole: la lealtà verso gli alleati, il contributo a vincere le guerre o a siglare la pace sono impegni che assumi, invece, solo con i fatti. E sulla politica estera quell'abbozzo di alleanza che stanno tentando di rimettere in piedi piddini e grillini non marcia. Tutt'altro. E, ovviamente, l'imbarazzo da quelle parti si nasconde dietro una sorta di etilismo lessicale.

La vicenda di ieri offre, però, pure lo spunto per una riflessione. In questi mesi le polemiche sulle divisioni del centro-destra sull'Ucraina la sinistra non le ha tenute solo dentro il cortile di casa nostra, ma com'è sua abitudine le ha esportate anche all'estero, creando imbarazzo e addirittura alimentando sospetti e diffidenza a livello internazionale sull'attuale maggioranza di governo. Ha tentato un processo di delegittimazione rimuovendo il fatto che i «pacifisti» a priori, quelli che avrebbero venduto l'Ucraina a Putin fin dall'inizio li ha nel suo campo. Le conseguenze dell'operazione, però, vanno ben oltre la speculazione politica: lanciando l'ombra del sospetto su questo o quell'altro esponente della maggioranza, infatti, si è impedito al nostro governo anche di contribuire alla ricerca di un possibile dialogo venendo meno ad una funzione che il nostro Paese ha sempre avuto nei conflitti. In Irak come in Libia, ad esempio, siamo stati leali con i nostri alleati, abbiamo partecipato al conflitto ma abbiamo tentato sempre la strada del negoziato. In questa occasione non si è potuto farlo perché chi ha usato troppe volte la parola «Pace» è stato subito additato dalle parti del Pd al pubblico ludibrio occidentale. Un'operazione che fa ridere se hai nelle tue file pure i nipotini del Pci. Ecco sarebbe necessario quando si affrontano temi importanti, quando si parla di drammi, di guerre e di pace, che certe amenità come l'«amico» di quello o di quell'altro, le solite speculazioni «nostrane» fossero messe da parte.

In questo Paese siamo tutti contro le politiche delle aggressioni, nessuno è dalla parte di Putin, nessuno vuole lasciare indifesa l'Ucraina, magari un giorno la vorremo tutti nella Nato, ma per dimostrarlo non bisogna fare la gara a chi è più atlantista o americano. Anche perché così rischiamo di diventare afoni sulla Pace. E in fondo nessuno, neppure Washington e tantomeno l'Europa, vuole una guerra perpetua.

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