"Ucciso un italiano che combatteva coi fanatici dell'Isis"

Giallo sulla morte di un giovane veneto convertito alla causa del Califfato. Un kamikaze fa una strage in Libia

"Ucciso un italiano che combatteva coi fanatici dell'Isis"

Il mistero è tutto in una foto. Quella diffusa ieri su Twitter dalle Unità Per la Protezione del Popolo (Ypg), la variante siriana del Pkk curdo di Ocalan. Nel cinguettio s'annuncia l'uccisione sul fronte di Kobane di un convertito d'origine veneta indicato con il nome di battaglia di Abo'u Izat Al-islam. Il convertito, unitosi ai militanti dello Stato Islamico, sarebbe stato ammazzato, stando al tweet, dal proiettile sparatogli da una peshmerga dell'Ypg. La notizia fino alla tarda serata di ieri non trovava però alcuna conferma ufficiale presso la Farnesina. Nel frattempo da ambienti della Procura di Venezia uscivano alcune indiscrezioni sulla possibile partenza per la Siria, circa due mesi fa, di un convertito proveniente dalla regione veneta indicato semplicemente con il nome di Francesco.

Dal fronte libico del Califfato arriva invece la notizia, purtroppo confermata, di una nuova strage messa a segno dallo Stato Islamico Tre esplosioni, due innescate da attentatori suicidi, hanno colpito una caserma di polizia, la casa di un politico e una stazione di benzina Al Qubbah. La cittadina si trova nell'Est della Libia, non lontano da Derna, roccaforte jihadista bombardata lunedì dagli aerei dell'Egitto, le cui navi sono ora a largo delle coste libiche per impedire il rifornimento d'armi agli estremisti. I morti in serata erano quasi 50, i feriti oltre 80. Nel comunicato dello Stato islamico si parla di un obiettivo: le forze del comandante Haftar, e di una motivazione: «Vendicare il sangue della nostra gente musulmana nella città di Derna». Il controverso militare, ex ufficiale delle antiche battaglie del colonnello Muammar Gheddafi in Chad, alla testa di forze anti-islamiste, ha trovato un alleato nel Cairo. Lo Stato islamico lo accusa di aver «cospirato con il governo di Tobruk».

La Libia è divisa politicamente da agosto, da quando nella cittadina costiera del Nord siede un esecutivo sostenuto dalla comunità internazionale cacciato da Tripoli dall'avanzata delle milizie e la capitale è controllata da un governo islamista. In queste ore, le Nazioni unite e l'Unione europea cercano nella ricomposizione delle lacerazioni una soluzione politica al caos, ma proprio ieri i ministri di Tobruk hanno rifiutato un governo d'unità nazionale, e Tripoli ha dichiarato d'escludere nuovi negoziati. Le faide politiche e militari si riflettono nella narrativa della situazione sul campo. Secondo l'incaricato d'affari del governo di Tobruk a Roma, Azzedine Al Awam, lo Stato islamico sarebbe in controllo di Sirte, città natale di Gheddafi, avrebbe imposto il coprifuoco e le milizie armate di Misurata, vicine all'esecutivo di Tripoli, non avrebbero ripreso il controllo dell'area come riportato nelle scorse ore.

Le divisioni interne rallentano l'intervento diplomatico della comunità internazionale che ha frenato sulla possibilità di operazioni simili a quelle della coalizione a guida americana in Medio oriente. Soltanto ieri, Stati Uniti e alleati hanno bombardato dieci obiettivi in Irak e cinque in Siria, dove è stato dato per disperso un reporter svedese. E si prepara un'azione militare ampia in primavera, quando secondo il Pentagono tra 20 e 25mila soldati iracheni e curdi, addestrati dagli americani, dovrebbero muoversi su Mosul, la capitale del Nord dell'Irak per poi muovere verso la provincia di Anbar, teatro delle più crude efferatezze jihadiste.

Lì secondo fonti locali alcune cittadine sarebbero assediate dai miliziani dello Stato islamico. A Khan Al Baghdadi, il capo del consiglio locale, Malallah Al Oubeidi, ha parlato di oltre 150 persone giustiziate dai miliziani dell'Isis.

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