Ritenuto il mandante dei massacri Tate-LaBianca, Charles Manson è forse uno degli assassini più noti della storia e al tempo stesso il capo carismatico di un gruppo criminale, la Manson Family. Alcuni dei suoi membri furono infatti gli esecutori materiali dei succitati delitti, eppure ci si riferisce a lui, da sempre, come a un serial killer.
“L’Fbi parlò di ‘spirale di violenza’ riferendosi a Manson - spiega a IlGiornale.it Jacopo Pezzan, che con Giacomo Brunoro ha scritto ‘Charles Manson’, edito per LaCase Books che loro stessi hanno fondato, dando vita a una vera e propria collana di volumi a tema crime - e questo ci fa capire come sia difficile inquadrare il fenomeno in definizioni condivise, a differenza di quanto capita con serial killer tout court come il Mostro di Firenze. La Manson Family è un fenomeno che sfugge”.
Nell’immaginario collettivo
Su Charles Manson sono stati scritti molti libri e girati moltissimi film. Le trasposizioni più celebri negli ultimi anni sono rappresentate sicuramente da due film e dall’episodio di un telefilm. Nel 2017, nella settima stagione di “American Horror Story”, dal titolo “Cult”, Manson è interpretato da Evan Peters e viene rievocato il massacro di Cielo Drive. C’è poi “Charlie Says” del 2018, in cui Manson è interpretato da Matt Smith e la regia è di Mary Harron, che aveva già all’attivo un biopic su Valerie Solanas e la trasposizione cinematografica di “American Psycho”, capolavoro letterario di Bret Easton Ellis. E infine c’è il film di Quentin Tarantino “C’era una volta a Hollywood”, che è una pellicola fantasiosa sul massacro di Cielo Drive in cui Manson è solo una bizzarra ombra portata sullo schermo da Damon Herriman, mentre la sua Family viene ritratta come un gruppo di sbandati.
Il film di Tarantino è tuttavia, benché non fedele alla vicenda reale, il lavoro che meglio ha afferrato l’essenza della Manson Family, le frustrazioni del serial killer, e che ha restituito attraverso un falso lieto fine il giusto spessore alla figura di Sharon Tate, moglie del regista Roman Polanski, una donna felice e soddisfatta della sua carriera che non vedeva l’ora di partorire il suo piccolo Patrick, che fu, nella realtà, sepolto insieme a lei in un eterno abbraccio. Quella di Manson e della sua Family fu una storia “americana”, che in Italia ha avuto un’eco solo successiva e forse negli ultimi anni si è riusciti a comprenderne la giusta portata.
“Charles Manson - racconta a IlGiornale.it Brunoro - secondo me, rappresenta una sorta di mitologia negativa arrivata in Italia negli anni ’90. Il suo era un caso molto americano, ma con l’avvento di Marilyn Manson e dei Guns’n’Roses che hanno inciso ‘Look at Your Game, Girl’, cover di una canzone di Manson nel loro album ‘Spaghetti Incident’, si è accesa l’attenzione per questa storia inquietante, che contiene in sé grandi contraddizioni e spaventa molto proprio perché non ben definita”.
L’infanzia
Quella di Charles Manson inizia come una storia di degrado sociale, anche se probabilmente non proprio comune. La sua mamma, Kathleen Maddox, aveva 16 anni quando lo diede alla luce il 12 novembre 1934. Lui prese il cognome da William Manson, un uomo con cui Kathleen ebbe successivamente una relazione, e che quindi non ne era il padre naturale. La donna però entrava e usciva dal carcere e quindi Charles, quando lei era reclusa, visse con dei parenti in West Virginia. Fin da piccolo però Manson palesò la sua anima criminale, attraverso furti d’auto e piccole rapine, per cui anche lui, come la madre, iniziò a frequentare prima il riformatorio e poi il carcere con una certa assiduità.
A 16 anni entrò nel suo primo riformatorio federale per aver portato oltre il confine dello stato un’auto rubata. Da quel momento in poi ci fu una sequela di arresti e detenzioni, ma Manson, per così dire, fece tesoro dell’esperienza, apprendendo altre attività criminali come lo sfruttamento della prostituzione. E in carcere venne a contatto anche con l’esoterismo e il satanismo, anche se queste materie hanno un ruolo decisamente marginale, quasi una facciata o un fraintendimento mediatico, nei suoi crimini successivi.
“Manson viene da una vita disastrata - dice Brunoro - A 6 mesi la madre lo baratta con una caraffa di birra. Entra ed esce dal carcere tutta la vita. Prima di andare in California, al giudice che lo scarcera chiede di restare in carcere, perché quello è il luogo che conosce meglio. Non era intelligente ma abile a capire gli altri, dote che aveva sviluppato in carcere, dove può tornare utile intuire le debolezze degli altri”.
Le ambizioni musicali
Il punto di rottura per Manson è rappresentato dalle sue ambizioni musicali: fan dei Beatles, iniziò a sviluppare un sistema di credenze secondo cui i Fab Four avrebbero previsto il caos attraverso la canzone “Helter Skelter” - e non a caso battezzò dei membri della family ispirandosi ai loro brani, come per esempio “Sexy Sadie”, nome che fu dato a Susan Atkins. Frequentò occasionalmente anche i Beach Boys, che all’epoca erano, come i Beatles, un gruppo di culto e che riarrangiarono una canzone di Manson, oltre che il produttore Terry Melcher, nel quale ripose le sue speranze di diventare una star della musica. Ma non accadde.
“La frustrazione musicale è all’origine del delirio di Cielo Drive - prosegue Brunoro - Personalmente non lo trovo particolarmente interessante dal punto di vista musicale. Le sue canzoni seguono il cliché del cantautore degli anni ’60 con linee melodiche semplici e testi non proprio significativi. Tutte le cover che sono venute dopo sono legate solo al suo essere negativo o inquietante. Anche per Marilyn Manson Charles Manson è un’icona pop”.
La Family
Nel 1967, in una “tregua” dalle sue carcerazioni, Manson giunse a San Francisco, dove fondò la sua Family, raccogliendo ragazzi scappati di casa che giungevano in California. “Una volta fuori - prosegue Brunoro - si circonda di ragazze giovani scappate da casa, magari anche benestanti. C’è però una teoria, sostenuta tra gli altri anche da Bobby Beausoleil, un membro della Family, secondo cui il vero leader della Family era Tex Watson che, con le stragi voleva dimostrare definitivamente di essere il capo, mentre in realtà Manson era un chiacchierone che si circondava di accoliti. Va poi aggiunta una componente da non trascurare: all’epoca girava tantissima droga e non veniva percepita come qualcosa di negativo, quindi i membri della Family non avevano una lucidità costante, si è creato un mix pazzesco di elementi negativi. In pubblico Manson ha sempre mostrato un valore culturale bassissimo, ma è stato mitizzato. E il satanismo pare fosse una componente più mediatica che reale”.
Attraverso tecniche che aveva sviluppato in prigione, Manson divenne il capo carismatico della Family e ancora oggi c’è chi crede che quella comune criminale da lui fondata rappresentasse una sorta di “cult”, di religione dai risvolti elitari. In realtà Manson agiva su menti giovani, che spesso facevano uso smodato di droghe psichedeliche, ergendosi a leader e facendo credere loro di essere una sorta di messia che avrebbe guidato la guerra razziale, liberando gli afroamericani.
È un fatto assodato tra gli storici che la Family si innestò sulle ceneri della Summer of Love, sul movimento hippie ormai al declino. “La Summer of Love - chiarisce Pezzan - fu l’inizio di un movimento di contestazione che fu incubatore di diverse anime: ci fu la contestazione pacifista degli hippie ma anche i biker, gli Hell’s Angels. Un po’ come nell’impresa di Fiume per l’Italia, diverse personalità si unirono per un fine comune: in quel caso ci furono pre-hippie, fascisti della prima ora e socialisti rivoluzionari, oltre agli arditi delusi dalla prima Guerra Mondiale. A testimoniare che esistono diversi momenti della storia che creano combinazioni chimiche tra personalità, gruppi e filosofie di vita che formano qualcosa di completamente unico per poi andare via per la propria strada e non incontrarsi mai più. La Manson Family nasce appunto dalle ceneri della Summer of Love per poi prendere una deriva criminale”.
Gli omicidi Tate-LaBianca
Perché Brunoro dice che alla base del massacro di Cielo Drive c’era la frustrazione musicale di Manson? La casa in cui vivevano i coniugi Polanski era stata in precedenza di proprietà di Melcher. Nel 1969, la Manson Family si era trasferita allo Spahn Ranch, in cui in passato venivano girati film e serie tv western: il quadro viene ben delineato dal film di Tarantino, che tra l’altro offre allo spettatore una scena davvero stridente, in cui le ragazze di Manson rovistano nella spazzatura cantando spensierate un suo brano, “I’ll never say never to always”. Un’immagine piena di innocenza che non riesce a far presagire cosa stesse per accadere.
“Abbiamo effettuato dei sopralluoghi nell’area di Los Angeles - racconta Pezzan - I luoghi che sono stati vissuti e attraversati dalla Manson Family sono vicini dal punto di vista fisico per i parametri della città e di quel tempo, con poco traffico e a non più di un’ora e mezza di macchina. Sono realtà però molto lontane tra loro dal punto di vista sociale: si va dalle zone vip come le colline intorno a Mulholland Drive fino a Van Nuys, passando per Hollywood. È come se in questi mondi diversi siano entrate e uscite realtà sociali molto diverse: il film di Tarantino dà a questo proposito uno spaccato interessante e credibile”.
Il 9 e 10 agosto, alcuni membri della Manson Family - Tex Watson, Susan Atinks, Patricia Krenwinkel e Linda Kasabian, commisero a vario titolo degli omicidi che passarono alla storia come i delitti Tate-LaBianca. Il 9 agosto si recarono infatti nella ex abitazione di Melcher, uccidendo tutti i presenti in maniera brutale e lasciando in giro messaggi ambigue scritte col sangue. Le vittime erano il parrucchiere dei vip Jay Sebring, l’ereditiera del caffè Abigail Folger e un amico polacco dei Polanski Wojciech Frykowski, oltre naturalmente a Sharon Tate che, incinta di otto mesi, supplicò la torma di tornare a ucciderla dopo il parto. Il regista era invece lontano, a Londra per lavoro, e sfuggì al massacro. Fu ammazzato anche un giovane di passaggio, diretto nella dependance del custode di casa Polanski. Il giorno successivo, gli stessi membri della Family, accompagnati stavolta da Manson per la prima parte della loro incursione relativa a una rapina, uccisero i coniugi benestanti Leno e Rosemary LaBianca nella loro villa di Bel Air. In altre parole Manson non fu mai presente durante gli assassinî.
“Il sistema giudiziario americano si è trovato a dover fare di tutto per condannare questa persona, anche se molti avvocati, da un punto di vista squisitamente burocratico e legislativo, sostenevano una cosa abbastanza ovvia: Manson non ha partecipato alle stragi, non ha ucciso né a casa dei LaBianca, né dalla Tate - aggiunge Brunoro - Siccome tutti i membri della Family erano completamente soggiogati da lui, continuavano a ripetere che lui era innocente, che non c’entrava niente, e per questo non sono stati più interrogati. E quindi è una situazione spiazzante perché c’è questo personaggio che è fortemente negativo, c’è un’indagine portata avanti malissimo perché gli investigatori hanno fatto un sacco di errori, e quasi per caso sono arrivati a scoprire la realtà”.
Il carcere
Linda Kasabian, che faceva da palo durante gli omicidi e durante l’eccidio dei coniugi LaBianca cercò di mandare a monte il piano, testimoniò contro gli altri membri della Family. Manson fu processato nel 1970 e condannato a morte, ma due anni dopo lo stato della California abolì la pena capitale e la condanna divenne per lui il carcere a vita. Manson, che era malato da tempo, è morto quindi in ospedale il 19 novembre 2017 per un arresto cardiaco: giorni prima aveva lasciato il carcere per un’emorragia intestinale dovuta alla sua malattia.
La storia di Manson continua a esercitare su molti un fascino morboso, tanto che esistono diversi siti apologetici sul Web. Anche Trent Reznor dei Nine Inch Nails visse per un periodo nella casa dei Polanski, per poi rivenderla: troppa storia si era consumata tra quelle mura. Come spesso accade in queste storie di confine, restano molti dubbi mai davvero sciolti, uno su tutti: la Manson Family era una setta - posto che ci fu ben poco di davvero religioso in quell’esperienza - o un’attività criminale? “Quella della Manson Family - conclude Pezzan - è una storia singolare e unica, che racchiude in sé una serie di aspetti che ritroviamo in altre storie.
La Manson Family fu una via di mezzo tra una comune e una setta religiosa, quindi va analizzata sotto l’aspetto sociologico. Inoltre gran parte dell’attività criminale che svolse presenta diverse zone d’ombra ancora da chiarire”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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