Un veto anti-scientifico che aiuta Cina e America

L'intenzione della Commissione europea di escludere il nucleare dalle tecnologie verdi strategiche per l'industria fa sorgere il dubbio che a Bruxelles agiscano, con successo, forze estranee agli interessi europei.

Un veto anti-scientifico che aiuta Cina e America

L'intenzione della Commissione europea di escludere il nucleare dalle tecnologie verdi strategiche per l'industria fa sorgere il dubbio che a Bruxelles agiscano, con successo, forze estranee agli interessi europei. Altrimenti, perché stralciare quella che con il 25% è la prima fonte di energia elettrica europea, verde che più verde non si può? Sì, perché il nucleare emette appena 4 tonnellate di CO2 per ogni gigawattora di elettricità prodotta, al pari dell'eolico e una meno del fotovoltaico. Giusto come riferimento, il carbone ne emette 800, il petrolio 700 e il gas 500. Un anno fa la Commissione aveva incluso gas e nucleare nelle fonti green, la famosa tassonomia, confermata poi a luglio dall'Europarlamento. Subito è scattata l'azione legale di Greenpeace, una lobby ambientalista, che ha intimato alla Commissione di rivedere la sua decisione, altrimenti porterà la questione davanti alla Corte di Giustizia.

L'avversione per il nucleare, oggettivamente pulito, poggia sulla presunta insicurezza che fa leva sui disastri di Chernobyl e di Fukushima. Ma, a parte la presenza estesa di reattori in molti Paesi europei, i numeri smentiscono questa credenza. Ogni produzione di energia porta il rischio di incidenti fatali. Our World in Data, gruppo di ricercatori dell'Università di Oxford, ha calcolato i decessi occorsi tra il 1990 e il 2014, per ogni Terawattora di energia prodotta. Il carbone, con 25 decessi, è la fonte più rischiosa, seguito dal petrolio con 18. Il nucleare, incluso il disastro di Chernobyl, ha causato 0,03 morti per TWh, meno dell'eolico (0,04) e più del solare (0,02).

Su queste basi, ben note a Bruxelles, è difficile credere che l'intenzione di stralciare il nucleare sia dovuta all'ideologia. Questa va bene per i cittadini europei che, essendo da generazioni i più benestanti della Terra, hanno maturato sensi di colpa e sviluppato la sensibilità verso le grandi cause, tipo salvare il pianeta. Gli statisti di Bruxelles sanno che l'Europa, con il suo 8% delle emissioni globali di CO2, non può influire sul clima, in gran parte in mano ai Paesi in sviluppo affamati di energia. Grazie all'energia, in questo secolo un miliardo di persone è uscito dalla povertà assoluta. Grazie all'energia, queste persone mangeranno e si moltiplicheranno e nel 2050 saremo dieci miliardi. Gli statisti sanno che per il clima è meglio investire in quei Paesi, affinché producano energia a basse emissioni, piuttosto che mettere fuori mercato la nostra industria, con un'energia troppo costosa rispetto a Cina e America. Gli statisti sanno delle famiglie in difficoltà che riducono i consumi per pagare le bollette, delle imprese che chiudono o riducono l'attività perché stare aperti costa, dei governi nazionali che riattivano centrali a carbone mentre vanno in giro a cercare forniture di gas.

Ma gli statisti di Bruxelles sono esseri umani, come

abbiamo visto recentemente. Allora, se nonostante sappiano tutto questo scelgono comunque di non perseguire gli interessi dei cittadini europei, è lecito domandarsi gli interessi di chi perseguono? E soprattutto, perché?

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