Giacomello, resistenza e avanguardia

Lo chef friulano, dopo l’esperienza all’Inkiostro di Parma, porta al Nin di Brenzone sul Garda la sua cucina di pura inventiva innervata da una tecnica stupefacente andando in controtendenza rispetto al fine dining in Italia Un percorso ricco di trovate, di ingredienti anomali, di camuffamenti che rendono la cena un’esperienza esaltante

Nin, Terry Giacomello
Nin, Terry Giacomello

Finalmente l’avanguardia. In un momento in cui il fine dining italiano – dato peraltro in crisi – sta arretrando verso formule di ripensamento verso la semplicità e il sapore, abdicando al suo ruolo di sperimentazione, l’ultimo spagnolo d’Italia appare essere Terry Giacomello, chef friulano che fa il suo percorso isolato, ancora di più da quando ha preso in mano il ristorante Nin del Belfiore Park Hotel a Brenzone sul Garda. Qui Giacomello, reduce da sei anni entusiasmanti all’Inkiostro di Parma in cui ha portato la sua cucina ipertecnica e astratta nel cuore della Food Valley, ha trovato una proprietà che gli ha dato carta bianca, l’unica condizione per ottenere il meglio da un talento puro, che ama definirsi “pane e salame” ma in realtà propone una delle esperienze più entusiasmanti che sia dato provare attualmente in Italia.

Nin, sala vista lago

Giacomello, friulano di Aviano, iniziato alla cucina da giovane dalla mamma che aiutava nella sua trattoria, mi ha proposto una cena davvero prodigiosa, un percorso di oltre venticinque piatti che con gli snack e i petit fours finali ha ampiamento sforato il tetto delle trenta proposte. Naturalmente bocconi minimi, altrimenti non sarei qui a raccontarvi quella kermesse, ma ciascuno con idee sorprendenti, in alcuni casi sgomentanti. Sbobinare la descrizione di ogni singolo piatto mi è costato più di un’ora è mi è apparso subito chiaro che mai e poi mai avrei potuto fare un report completo di questa Iliade del cibo.

Nin, la Seppia

Ecco quindi qualche sommario spunto: il Cactus servito tra gli snack iniziali, con vera foglia di cactus messicana farcita con crema di mais salato e leggermente tostato ed erba oliva per riprodurre le spine. Il cotone di pollo davvero stupefacente servito in cima a una galletta di riso proteico e ponzu di sudashi. Il Frico che diventa la farcitura di un panino al vapore di farina di polenta tipo bao. Il Bulbo di tulipano cotto sottovuoto con burro chiarificato con bacche di pepe di Sichuan, petali di tulipano sotto aceto, café de Paris, centrifugato dello stelo del tulipano leggermente acidulato (pazzesco). Un falso lardo che in realtà è un fungo bianchissimo cotto sottovuoto con il lardo di colonnata che gli dà una texture oleosa assolutamente seducente. L’Insalata folle, folle per il numero e la varietà delle materie prime che lo chef scova in tutto il mondo: uva spina, bacche di goji, germogli di patata e di pisello, radicchio dell’orso, asparago di monte, sottaceti, cetrioli. Ogni boccone un viaggio, tanti timbri sul passaporto.

Nin, la sala

Ancora: i Ravioli di bottarga (dalla greca Missolungi) che è esso stesso il raviolo e l’interno è composto da miele di olivello spinoso reso gelatina e pezzettini di mini-limone del deserto australiano. Il L’Ackee, un frutto giamaicano particolarmente grasso simile come consistenza all’avocado ma nel sapore più vicino al mais. Un altro fungo, il Corallo di bosco, che arriva dalla Slovenia. La Seppia in bianco e nero che è trasformata nel suo osso meringoso con un garum creato dalla fermentazione di 60 giorni di ritagli sella seppia stessa, del suo nero, e del goji nero. Poi la Mandorla di mare, un mollusco cotto in acqua di cozze e vongole. Il Maiale nero, o meglio il suo naso cotto sotto pressione con un brodo di prosciutto. L’Asino sotto forma del taglio del cardinale marinato per una notte in salamoia, passato in padella e poi alla brace, servito con salsa toburoku, a base di riso fermentato e brodo dashi. I petali di un papavero intinti nello sciroppo di papavero all’interno succo di papavero. L’Acd, sconcertante ostia di tartrati del vino bianco opportunamente trattati e a cui lo chef dà la forma della sua regione posta si un caramello di miso bruciato, uno schiaffo di acidità per palato forti. Qualcosa di simile ai dolci, una Banana che omaggia Maurizio Cattelan che affisse al muro del New York Museum una banana per protestare contro lo spreco alimentare, una Corteccia della Yacaratià, un albero argentino privo di cellulosa e quindi edule, addizionato da sciroppo di zucchero di canna, riduzione di linfa di betulla, che gli dà una nota amaricante e balsamica.

Nin, i Ravioli di alga
Nin, i Ravioli di alga

Ci fermiamo qui ma potremmo andare avanti. Che dire? La cucina di Terry è inventiva e inquieta, un gioco di mimesi che diverte e scuote, con una grande valenza di sostenibilità garantita dal riutilizzo di ogni singolo elemento di ciascun ingrediente utilizzato. A tutti lo chef trova collocazione nella sua cucina e mai a caso. Gli ingredienti vengono da tutto il mondo, certo non si può parlare di chilometro zero, ma tutto a ragion veduta, perché qui l’unico orizzonte è il mondo. E poi Giacomello è anche uno chef pensante, con cui è bello parlare con una semplicità che nei piatti non si ritrova se non a livello di suggestione.

Due i percorsi: il Nin a 165 euro, una versione ridotta di quello che ho raccontato io, e Le mie memorie 140. Si mangia guardando il lago, e già questo è un privilegio. Il personale di sala è bravissimo e gentile e dotato anche della memoria necessaria per spiegare decine di piatti con ingredienti insoliti e tecniche bizzarre (quando si dice la cucina di memoria). Onore quindi al maître Francesco Vuolo, al sommelier Giovanni Boscaro, ai bravi Elia, Arianna e Mattia.

Il ristorante è ricco di dettagli interessanti, dai centrotavola in legno al menu in carta materica che diventa un souvenir, e la sala è ricca di opere d’arte. E a proposito: Nin è una parola friulana multiuso: significa “un poco”, “andare avanti” ma è anche il modo in cui ci si chiama tra amici. E qui tra amici si sta.

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