La Disney è in crisi: puntare sul woke non paga

Il colosso paga la decisione di aver politicizzato i prodotti ed essere diventato una società bandiera dell'ideologia woke. Un suicidio la battaglia contro DeSantis

La Disney è in crisi: puntare sul woke non paga

Puntare tutto sull'ideologia "woke" e sul politicamente corretto non paga. Allontana il pubblico conservatore, moderato, stufo dell'ossessiva propaganda gender inserita forzatamente in prodotti dedicati all'intrattenimento, soprattutto quelli dedicati al pubblico più giovane e ai bambini. I dati parlano chiaro: il servizio streaming Disney + ha perso 1,47 miliardi di dollari lo scorso trimestre , più del doppio rispetto all’anno precedente. Il dirigente dell'area finanziaria McCarthy ha affermato che le perdite miglioreranno nel 2023 e il Ceo Chapek ha promesso che lo streaming diventerà redditizio entro la fine del 2024, tra lo scetticismo generale degli investitori. Qualche dato positivo c'è: Disney+ ha aggiunto 12,1 milioni di abbonati in tutto il mondo nel trimestre terminato il 1 ottobre, di cui 1,9 milioni negli Stati Uniti e in Canada, portando il conteggio totale a 164,2 milioni.

Disney e il flop dell'ideologia woke

Gli analisti intervistati da FactSet si aspettavano che il servizio aggiungesse 8,8 milioni in tutto il mondo. "Hocus Pocus 2" è stato un grande successo per Disney e " She-Hulk: Attorney at Law " si è comportato bene. In generale, tuttavia, la politica "woke" della società, che punta tutto su minoranze e "inclusione" non sembra portare grande fortuna al colosso che l'anno prossimo festeggerà i 100 anni di storia. Basti pensare al flop di Lightyear - La vera storia di Buzz, ultimo tassello dell'universo di Toy Story, accusato dall'opinione pubblica conservatrice di essere "troppo woke" e di contenere dei passaggi forzati - come un bacio gay - solo al fine di strizzare l'occhio alla moda politicamente corretta dell'inclusività.

Il film è diventato più in oggetto di discussione nella guerra culturale fra progressisti e conservatori, più che un film di bambini, dando l'impressione, a una buona fetta di pubblico, che la Disney sia diventata un'azienda profondamente politicizzata e divisiva. Ne è dimostrazione la battaglia politica intrapresa dal colosso contro la legge "Don't say gay" voluta dal governatore della Florida, Ron DeSantis, vincitore assoluto delle elezioni di midterm e nuova stella del partito repubblicano. Rispondendo alle critiche di essere troppo "woke", l'amministratore delegato Bob Chapek ha spiegato che Disney cercherà di soddisfare il mondo ricco e "diversificato" degli spettatori. "Il mondo è un luogo ricco e diversificato e vogliamo che i nostri contenuti lo riflettano", ha affermato Chapek alla conferenza Tech Live del Wall Street Journal. La direzione, tuttavia, è chiara, e lo confermano le prossime uscite. A cominciare dalla discussa Sirenetta nera, protagonista del live action della fiaba dello scrittore danese Hans Christian Andersen, o dalla fata turchina nel Pinocchio recentemente uscito sulla piattaforma con la pelle scura.

Società in crisi

La situazione è difficile in casa Disaney. Dopo Meta e Twitter, anche l'amministratore delegato del colosso annuncia tagli importanti e blocco delle assunzioni. "Stiamo limitando il nuovo personale attraverso un blocco mirato delle assunzioni”, ha affermato il Ceo Bob Chapek in una nota inviatai dirigenti e pubblicata dalla Cnbc. "Le assunzioni per il piccolo sottoinsieme delle posizioni più critiche e orientate al business continueranno, ma tutti gli altri ruoli sono sospesi. I responsabili delle risorse umane hanno dettagli più specifici su come questo si applicherà ai vostri team". Chapek ha poi aggiunto che è prevista una riduzione del personale (attualmente Disney conta circa 190.000 dipendenti), spiegando ai dirigenti che i viaggi d’affari dovranno essere limitati ai soli viaggi essenziali: gli incontri dovranno essere condotti il ​​più possibile virtualmente. La Disney sta anche istituendo una task force per la ristrutturazione dei costi composta dal direttore finanziario Christine McCarthy, dal consigliere generale Horacio Gutierrez e Chapek.

Sarà che inimicarsi una fetta sempre più larga di pubblico non è una grande idea? Se desse l'idea di essere un'azienda meno "partigiana" forse potrebbe riaprirsi a quel pubblico che non ne può più della dittatura "woke".

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