Un archivio in remoto che contiene tutto il futuro

Che cos'è Jean Santeuil? È lo "spazio in remoto" dove Proust, fra i 24 e i 29 anni, accumula i propri dati personali. I giacimenti della memoria in cui nacque l'imortale "Recherche"

Un archivio in remoto che contiene tutto il futuro

Prima di essere «io», Marcel Proust è stato «egli». Prima di nascere con la Recherche a nuova vita (che poi era la precedente, ma rivisitata, riletta, ricordata e rinarrata in prima persona), ha custodito e costruito dentro di sé, nel ventre della memoria-gravidanza, un feto che si chiama Jean Santeuil. Di questa creatura conosciamo l'anno di nascita, il 1895, ma non quello di morte, per il semplice motivo che non è mai morta, bensì da crisalide è diventata farfalla: diversa eppure uguale, uguale eppure diversa. A dirla tutta, in Jean Santeuil Proust è doppiamente «egli». L'introduzione-concepimento ci presenta infatti il primo «egli», cioè lo scrittore C. tutto preso dalla stesura di un romanzo, e il resto del libro è appunto il romanzo dello scrittore C., cioè il romanzo della vita del secondo «egli», il personaggio Jean Santeuil. Sicché Proust è sia «egli» in quanto scrittore C., sia «egli» in quanto Jean Santeuil.

Ma questo possiamo dirlo soltanto dopo aver letto la Recherche, dopo aver inseguito per sette volumi il volo fra il sincopato e l'armonico della farfalla, ignorando il suo precedente stato di crisalide... Possiamo dirlo soltanto dal 1952, quando Bernard de Fallois pubblicò Jean Santeuil, la stele di Rosetta della lingua proustiana. Scoperta, grazie ai buoni uffici di André Maurois, nei giacimenti custoditi dalla nipote di Marcel, Adrienne «Suzy» Mante-Proust. E proprio sulla fedelissima edizione del '52, non su quella, con qualche ritocchino, di Pierre Clarac del '71 accolta dalla Bibliothèque de la Pléiade, si basa la nuova, seconda traduzione italiana dell'opera, dopo quella di Franco Fortini del '53. È di Salvatore Santorelli e uscirà fra pochi giorni da Theoria, rinfrescando la nostra, di memoria, sui preparativi di un capolavoro della letteratura mondiale.

Ma che cos'è Jean Santeuil? È lo «spazio in remoto» dove Proust, fra i 24 e i 29 anni, accumula i propri dati personali. È l'iCloud dove ripone le sue conoscenze e le sue aspirazioni, i suoi mascheramenti (primo fra tutti, la ben nota trasposizione al femminile degli amori, o almeno delle infatuazioni maschili di un gay non pride) e le sue vendette, le sue prese di posizione di cittadino (vedi l'affaire Dreyfus) e i suoi dolori, le sue gioie e i suoi vizi. Le centinaia di foglietti volanti e le decine di quaderni in cui Bernard de Fallois si immerse alla ricerca del «vero Proust» per la sua tesi di laurea sono il brodo primordiale di ciò che diventerà un mondo popolato da creature fantastiche in quanto reali, catturate e fissate in bacheca, con spilli da entomologo, nell'atto di sorbire una tazza di caffè o di suonare il pianoforte, di spiare una conversazione o di passeggiare in un parco. «Tutto comincia - scrive Jean Yves Tadié in Vita di Marcel Proust - a Beg-Mail nel settembre-ottobre 1895. Su un blocco di fogli sciolti da scolaro, numerati da Proust da 1 a 105 (...) si trovano i primi cinque capitoli della prima sezione, chiamati dagli editori Enfance et adolescence». In quel momento Proust ha quindi in mente un solo «egli». Mentre il secondo «egli», cioè lo scrittore C., nasce qualche mese dopo. Poiché la prefazione o primo capitolo o introduzione, vale a dire le pagine in cui si crea l'«antefatto» con i due amici (uno dei quali narra in prima persona) che incontrano lo scrittore C. in vacanza di lavoro a Kerengrimen, in Bretagna, dice Tadié, «risale al marzo 1896, il che dimostra che il processo di incastonatura del romanzo, consegnato al narratore dallo scrittore C., è stato concepito in un secondo tempo».

Il suo biografo sostiene che Proust abbia «voluto scrivere un grande romanzo di formazione unendo Goethe e Balzac». Cioè manifestarsi come figura centrale che tutto tiene e intorno a cui tutto ruota, alla maniera del colosso tedesco, però stando acquattato nel nascondiglio dalla folla della Commedia umana del ritrattista francese. Il difficile gioco delle corrispondenze e delle discrepanze tra le figure presenti in Jean Santeuil e quelle richiamate poi in servizio nella Recherche è stato già fatto alla grande. Gioco, partita, incontro nei set preparati da Mireille Marc-Lipiansky in La naissance du monde proustien dans «Jean Santeuil» (Nizet, 1974, non sarebbe male se qualcuno, magari lo stesso Santorelli, lo volgesse in italiano). Lì possiamo andare a pescare, quando veniamo colti da impellente curiosità filologica.

In ogni caso, è un fatto che Proust riprese, rilesse e ricopiò da Jean Santeuil quando già si era totalmente immerso nella Recherche.

Attingendo al suo «spazio in remoto», trasformò il passato remoto nel presente della scrittura foderata di sughero e di rimpianti per ciò che aveva goduto e anche per ciò che aveva sofferto. Così lo scrittore passò, quasi senza accorgersene, dal materno bacio della buona notte (rituale descritto sia in Jean Santeuil sia nella Recherche) al bacio della morte.

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