Armate di penna

Il 2 giugno è anche l'anniversario della conquista del voto femminile. L'accento rosa sulla parola libertà

Armate di penna

Il 2 giugno 1946 oltre a indicare la nascita della Repubblica segna un passo cruciale della nostra storia sociale. Le donne italiane furono per la prima volta chiamate ad esprimere un voto nazionale. Alla urne la risposta femminile fu superiore all’89% e 21 donne furono le elette all’Assemblea Costituente. Cinque di loro parteciparono alla stesura della Costituzione e nell’articolo 3 fu la socialista Lina Merlin l’artefice dell’inserimento della parità di genere. Nel 1953 (a 66 anni) fu la prima ad essere eletta in Senato. Lei ci scherzava: “Si diceva che il senato avesse una donna sola, ma una di troppo”. Come tante donne lasciò su carta la memoria delle sue battaglie e del suo impegno che venne pubblicato solo nel 1989. Uno dei tanti scritti dimenticati, lasciati dalle donne per le donne, su cui forse varrebbe la pena di costruire l’ossatura delle attuali e sacrosante rivendicazioni di genere. Oggi, mentre garriscono i tricolori, in qualche modo è anche l’anniversario di tante donne - giornaliste, scrittrici, maestre, poetesse, politiche - che “armate di penna” hanno lottato per acquisire voce sociale e combattere ogni disparità, come si augurava nell’Ottocento Cristina Belgioioso - battagliera giornalista e protagonista del Risorgimento - in un commovente lascito morale: “Vogliano le donne, felici ed onorate, dei tempi a venire rivolgere a volte il pensiero ai dolori e alle umiliazioni delle donne che le precedettero nella vita e ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e prepararono la via alla mai prima goduta e forse sognata felicità”. Certo, il cammino per l’emancipazione di genere non è stato semplice e ha seguito percorsi diversi e discontinui spesso interconnessi con grandi stravolgimenti sociali. Con la crisi industriale di fine Ottocento le voci femminili trovarono spazi di ascolto al di là delle differenze politiche nelle organizzazioni operaie come nei salotti borghesi: tra le tante, Laura Mantegazza, Anna Kuliscioff, Alessandrina Ravizza, Jessie White Mario, Ersilia Majno, e la giornalista Anna Maria Mozzoni che stilò una petizione sul diritto al voto femminile. Quando l’Ottocento morì sulle montagne del Carso prevalsero nuove abitudini e nuovi linguaggi sociali, e il contributo diretto delle donne nel mondo del lavoro negli anni della Grande Guerra offrì una spallata indispensabile al riconoscimento femminile.

Negli anni Venti e Trenta del Novecento, malgrado la propaganda del focolare e della donna fattrice, molte intellettuali offrirono la penna a favore dell’emancipazione: Sibilla Aleramo, Armida Barelli, Margherita Sarfatti, Matilde Serao, Ada Negri, Maria Montessori, Grazia Deledda, per dirne alcune che non si arresero neppure dopo la censura libraria del 1938 che interruppe repentinamente gli scritti sociali femminili. Poi venne il 1946 e un fine millennio di vittorie entusiasmanti e di cocenti sconfitte che tuttavia avranno un riverbero nella quotidianità offrendo alle donne una vita senza dubbio migliore come auspicava la Belgioioso. Eppure alcuni segni dai più tragici ai più insospettabili dimostrano che molto resta ancora da fare. La stessa parabola delle armate di penna che negli anni Settanta aveva ritrovato un importante attivismo ha subito una pericolosa discesa. Talvolta sembra che siano le stesse donne a contribuire attivamente a questa invisibilità attraverso autocensure, assenza di solidarietà, trasmigrazione su modelli maschili. In un saggio in “Reti della memoria” l’accademica Linda Giuva sostiene che nelle donne non solo esistono livelli diversi di consapevolezza della memoria ma vi è anche una forte spinta ad occultare le tracce della propria vita privata o, nel momento in cui devono certificare una propria vita pubblica, prevale la scelta di manifestare solo l’immagine di una donna forte e impegnata quasi a volersi scrollare di dosso un ruolo attribuito in cui non si riconoscono. Da qui forse le parole ancora non scritte delle donne di oggi, arenata sulle secche di un mondo in generale poco incline all’accettazione dell’altrui identità, nascoste dietro una neutralità palliativa di altre battaglie, destinate a perdere di vista i termini stessi della diversità su cui mantenere alto il confronto.

Ora che le giovani donne sembrano aver compreso che la forza di ogni rivendicazione di genere non consiste nell’abiurare la propria identità ma di accentuarne il contrasto per ricostruire la società su nuovi modelli attendiamo che le nuove armate di penna ci sommergano dei loro pensieri.

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