"Bergoglio non è Papa". La teoria-thriller di Socci agita il mondo cattolico

Nel nuovo libro, lo scrittore nega la validità dell'elezione di Francesco. Per questo il suo magistero è una delusione

"Bergoglio non è Papa". La teoria-thriller di Socci agita il mondo cattolico

Il thriller vaticano è un genere che tira. Una nuova vena letteraria. Un filone di successo. Basta azzeccare gli ingredienti giusti e il caso è creato. Un buon titolo. Uno stimato autore con buon seguito di lettori. Una potente casa editrice. Caso letterario? Caso teologico? Caso ecclesiastico? Forse tutti e tre insieme, bingo. Oppure nessuno: a volte mettere troppa carne al fuoco serve a non cuocerla bene e a tenersi la fame.

Non è Francesco è l'indovinato titolo del nuovo saggio di Antonio Socci, da oggi in vendita per Mondadori. Prima ancora del suo sbarco nelle librerie ha scatenato un putiferio di polemiche e, assicura Libero che ne ha anticipato stralci per due giorni di fila, già «agita il Vaticano». Di sicuro fa discutere i vaticanisti e gli osservatori più attenti del nuovo papato. Ieri sul Foglio , solitamente critico con Francesco, il vicedirettore Maurizio Crippa ha seccamente stroncato la nuova opera di Socci, archiviandola alla voce «ciarpame senza pudore», già coniata per tutt'altre vicende. Ce n'è abbastanza per alimentare nuovi fiumi di parole. Trame di corvi e complotti nei sacri palazzi hanno predisposto quote crescenti di cattolici, devoti, militanti, prelati e papa-boys ad appassionarsi all'ultimo giallo sotto il cupolone. I polpettoni di Dan Brown hanno fatto il resto.

Antonio Socci ha scritto in passato libri memorabili, in particolare raccontando la vicenda di «un padre nella tempesta» dopo l'improvvisa malattia che cinque anni fa ha colpito sua figlia Caterina. Oltre che una testimonianza di provata fede, è certamente una delle intelligenze più colte e raffinate della scena cattolica contemporanea. Ma mischiando dottrina e fantascienza complottarda, teologia e atmosfere thriller, se procedono in splendida solitudine anche le intelligenze migliori rischiano di toppare. Già nel precedente I giorni della tempesta , Socci aveva sostenuto, ricorrendo alle rivelazione di Maria Valtorta, che la salma di San Pietro non si trovasse sotto la tomba in Basilica, ma nella periferia romana dove ipotizzava che un futuro Papa avrebbe trasferito la sua residenza per stare più vicino alla gente comune. Ora in questo nuovo lavoro condensa le convinzioni che lo accompagnano da prima delle clamorose dimissioni di Benedetto XVI che, gli va dato atto, aveva anticipato sulle pagine di Libero . Purtroppo Socci non si è mai rassegnato ad accettarle per ciò che erano: il riconoscimento che le «forze, per l'età avanzata ( ingravescente aetate ) non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino» (Benedetto XVI, 11 febbraio 2013 al termine del Concistoro). Ci ha intravisto sempre qualcos'altro e qualcosa di più che non si è mai ben capito cosa fosse. Forse, viziato da quel sospetto, Socci ha presto iniziato a prendere contropelo quasi tutto ciò che ha detto e fatto il successore di Ratzinger. A dire il vero, citando Elisabette Piqué, «una brava giornalista argentina», ha messo in discussione la validità stessa della elezione di Bergoglio al Soglio pontificio. Secondo la ricostruzione della Piqué contenuta in Francesco. Vita e rivoluzione , alla quinta votazione il cardinale scrutatore contò 116 foglietti anziché 115 come dovevano essere. «Sembra che, per errore, un porporato abbia deposto due foglietti nell'urna: uno con il nome del suo prescelto e uno in bianco, rimasto attaccato al primo». La votazione viene annullata «e si procede a una sesta votazione». Secondo Socci, che si appella all'articolo 69 del Regolamento per la elezione dei Papi, la votazione successiva doveva slittare al giorno dopo perché le votazioni possono essere solo quattro al giorno. E in una notte Bergoglio, che già nel Conclave dell'aprile 2005 risultò il secondo più votato dopo Ratzinger, avrebbe potuto essere giubilato. Così, appellandosi a queste norme, conclude «che l'elezione al papato di Bergoglio semplicemente non è mai esistita». Né più né meno.

E se l'elezione è nulla Bergoglio potrebbe «tornare nella pampa». Socci ne parla come di «una tentazione forse cresciuta di fronte agli enormi problemi di governo della Chiesa per i quali l'ex arcivescovo di Buenos Aires si scopre inadeguato, inadatto». Suffragata da una serie di lacune elencate dopo una breve premessa, la sentenza è senz'appello. «Ho sostenuto papa Francesco come potevo, per mesi, sulla stampa», scrive l'autore nel primo capitolo. Ma a un certo punto non ce l'ha più fatta. Troppe cose non lo convincono. A cominciare dal mancato «soccorso dei cristiani massacrati nel Califfato islamico del nord Iraq». Per proseguire con l'espressione «chi sono io per giudicare una persona» usata da Francesco per rispondere a chi lo interrogava in materia di rapporti e comportamenti omosessuali. Poi la consuetudine con Eugenio Scalfari, forse dimentico che anche Gesù si auto-invitava a casa di Zaccheo. Infine, la dichiarazione di Bergoglio di non voler «fare proselitismo», consapevole che il cristianesimo si comunica «per attrazione». Per tutto questo, Bergoglio non è Francesco. Non è Papa. Mentre lo è Benedetto XVI, che dopo le dimissioni non è tornato al precedente stato di cardinale. Il thriller apocalittico è servito.

La realtà invece è nelle parole dello stesso Ratzinger che in una lettera autografa al teologo svizzero Hans Kung ha confidato: «Io sono grato di poter essere legato da una grande identità di vedute e da un'amicizia di cuore a Papa Francesco. Io oggi vedo come mio unico e ultimo compito sostenere il suo Pontificato nella preghiera».

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