Cantimori e Manacorda I rappresentanti perfetti dell'egemonia culturale

Un'ennesima conferma della forte egemonia ideologica esercitata dal partito comunista sulla cultura italiana, specialmente nei primi tre decenni del secondo dopoguerra, ci viene ora offerta dall'edizione del carteggio fra due storici comunisti di valore: Delio Cantimori-Gastone Manacorda, Amici per la storia. Lettere 1942-1966, a cura Albertina Vittoria (Carocci, 2013, pagg. 526, euro 49). Si tratta di un documento di grande interesse che mette in evidenza il peso e il senso di tale volontà di dominio, in questo caso sulla storiografia, ambito importante perché, come affermava George Orwell, «chi controlla il passato, controlla il presente e il futuro». La curatrice, Albertina Vittoria, ricostruisce con notevole competenza le complesse vicende dell'organizzazione culturale del Pci e dei suoi rapporti con il mondo degli intellettuali militanti, a cominciare naturalmente dagli stessi Cantimori e Manacorda; analizza, inoltre, gli strumenti culturali che essi e altri avevano a disposizione: le riviste Movimento operaio, Società e Studi storici, l'Istituto Gramsci, la commissione culturale del partito.
L'interesse maggiore del volume non consiste però nella trattazione di questi intrecci, ma nell'esame del rapporto complessivo fra la politica e la cultura. Leggendo il carteggio si ha ancora una volta la conferma della forma mentis dell'intellettuale comunista. Sulla scia dell'insegnamento di Gramsci, si intende svolgere la ricerca storica contemperando due esigenze di difficile conciliazione: la ricerca deve essere tanto più disinteressata quanto più impegnata; la propria attività di studioso deve svolgersi in maniera indipendente, pur aderendo a un partito. Una quadratura del cerchio, dato che la storiografia, per natura, non può che essere revisionista. Come si sa, i fatti sono sterminati e il compito degli storici consiste, per l'appunto, nel decidere quali sono importanti e quali no. Non esiste una storiografia oggettiva. Il fatto che Cantimori e Manacorda pensassero invece a questa possibilità (come documenta Albertina Vittoria), rende di fatto evidente la supponenza che caratterizzava il loro settarismo (come quello di altri), spiegabile in questi termini: il comunismo è la verità ultima dell'umanità, la sua effettiva realizzazione storica. Cioè i comunisti modellano e adeguano il loro comportamento sullo sviluppo della storia, nella convinzione che questa altro non sia che la realizzazione in atto della loro verità e, dunque, della verità tout court. Ciò non significa che questo «manicheismo» si traducesse sempre in un atteggiamento formalmente dogmatico perché quello che conta rilevare non è tanto il comportamento «esterno», ma l'animus che lo motiva. La tragica figura intellettuale di Cantimori ne è la prova.

Sempre ansioso di raggiungere una verità forte e definitiva, pervaso da un profondo sentire anti-borghese e anti-individualista, come è stato messo in rilievo, pur con prospettive diverse, da Eugenio Di Rienzo, Paolo Simoncelli e Roberto Pertici, il grande storico degli eretici italiani del Cinquecento è stato uno dei protagonisti culturali dell'attacco concentrico che nel '900, da destra e da sinistra, è stato sferrato contro la civiltà liberale: prima fascista (con aperte simpatie per il nazismo «movimentista», fino a teorizzare una sorta di nazional-bolscevismo), poi, come molti altri, seguace del comunismo. Un grande storico, sempre però dalla parte sbagliata.

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