Pubblichiamo in questa pagina per gentile concessione dell’editore un estratto, relativo alla turbolenta vita di Caravaggio, tratto dal saggio di Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi Nero come l’anima. Storia dell’omicidio dal rinascimento alla rivoluzione francese (Solferino, pagg. 496, euro 20). Carlo Lucarelli presenterà Nero come l’anima a Pordenonelegge domenica 18 settembre, ore 21.
Ventotto maggio 1606. Domenica sera.
Se fossimo in un western sarebbe una scena di Sfida all'O.K. Corral, di John Sturges, ma la Roma di quegli anni, nei suoi quartieri popolari, non ha niente da invidiare, per violenza e anarchia, al Far West.
Da una parte i due fratelli Tomassoni, Ranuccio e Giovanni Francesco, con i cognati, e dall'altra Michelangelo Merisi con l'amico Onorio e i due mercenari bolognesi assoldati per l'occasione.
All'inizio lo scontro è tra Ranuccio e Caravaggio, mentre gli altri si fronteggiano, pronti a intervenire. Ranuccio non è molto bravo, nel clan dei Tomassoni è quello che maneggia meno le armi, così, per parare una stoccata fa un passo indietro, finisce per terra e perde la spada. Preso dall'impeto del duello, Caravaggio lo colpisce piantandogli la lama nell'interno della coscia. La ferita recide l'arteria femorale di Ranuccio, e da come sanguina si capisce subito che è mortale.
A quel punto è Giovanni Francesco a lanciarsi su Caravaggio.
Giovanni non è come Ranuccio, lui le armi le sa usare bene: ha fatto il soldato nell'esercito del granduca di Parma, ha combattuto contro i turchi e nelle Fiandre, e poi nelle forze armate pontificie, dove ha raggiunto il grado di capitano.
Caravaggio lo ha ritratto come figurante nella Flagellazione di Cristo e nella Salomè con la testa del Battista: un volto segnato, coriaceo e feroce, da combattente. E infatti Giovanni Francesco colpisce Michelangelo alla testa, un colpo così forte che lo fa crollare a terra tramortito, tanto che tutti, sul momento, pensano sia stato ucciso.
Dopo è la volta dell'ex capitano Petronio Troppa, il bolognese. Giovanni Francesco si avventa su di lui e lo colpisce quattro volte, a un braccio, alla coscia sinistra con un fendente che arriva fino all'osso, e poi alla tibia e al calcagno sinistro.
Di fronte a quella furia, Paolo, il caporale di Bologna con un occhio solo, e Onorio, l'amico architetto, lasciano Caravaggio e Petronio a terra, credendoli morti, e scappano tutti e due.
La ferita alla gamba di Ranuccio Tomassoni è davvero mortale. L'arteria recisa non lascia scampo e, per quanto cerchino di arrestare l'emorragia, ha soltanto il tempo di confessarsi prima di spirare.
Il capitano Petronio, invece, si salva.
Portato a Tor de' Conti nella bottega del barbiere Travagna, che funge anche da chirurgo, viene rimesso in sesto abbastanza per non lasciarci la pelle, e salva pure la gamba, prima di essere arrestato dagli sbirri del governatore, avvertiti, come impone la legge, dal barbiere.
Del caporale con un occhio solo non si sa più niente, probabilmente torna a Bologna, mentre Onorio si mette al sicuro a Milano, dove entra a servizio dell'artiglieria spagnola come architetto militare, finché il papa Paolo V non gli concede di rientrare a Roma nel 1611. Morirà di sifilide qualche anno dopo.
Scappano anche Giovanni Francesco Tomassoni e i fratelli Ignazio e Federico Giuglioli, che riparano a Parma. Giovanni Francesco, graziato, diventerà governatore militare di Ferrara per conto del papa Urbano VIII. Anche Caravaggio fugge. Per quanto ferito gravemente alla testa, tanto che nelle cronache redatte poco dopo il fatto viene dato per morto, sparisce da Roma e non si sa dove sia finito.
1606, maggio 31. Roma, ultimo di maggio mercordì. Sucesse in Campo Marzio la sudetta sera (28 maggio) di domenica, una questione assai notabile di quattro per banda, capo di una tal Ranuccio da Terani che vi restò morto subito dopo lunng contrasto ed dell'altra Michelangolo Caravaggio pittore di qualche fama ai nostri giorni, che vogliono sia ferito però non si sa ove sia (...)
Se Michelangelo Merisi detto il Caravaggio fosse stato un nobile aristocratico, figlio di una famiglia ricca e potente, sarebbe riuscito sicuramente a farla franca. E, se fosse rimasto sotto la copertura di protettori altrettanto ricchi e potenti, se la sarebbe cavata comunque.
Ma, in quel periodo piuttosto turbolento di papi che cambiano, di cardinali in disgrazia e di una specie di guerra fredda tra fazioni filofrancesi e filospagnole, Caravaggio, i suoi protettori, se li è giocati già da tempo.
Lo stesso cardinale Del Monte, per quanto potente, faticava sempre di più a proteggerlo, finché non l'aveva lasciato andare.
Il 28 novembre 1600, per esempio, Caravaggio aveva picchiato con un bastone Girolamo Stampa, un nobile ospite del cardinale a Palazzo Madama; e nel 1603, assieme all'amico Onorio, veniva condannato per diffamazione, denunciato da un collega pittore.
Nel maggio 1605, il capo delle guardie l'aveva fermato in Campidoglio perché in possesso di spada e pugnale senza regolare licenza di porto d'armi, non essendo né un nobile, legittimato praticamente per nascita, né al servizio di qualche cardinale, dal momento che Del Monte non lo voleva più con lui. Caravaggio aveva detto di essere stato autorizzato dal governatore di Roma, a voce, ma non gli avevano creduto.
Il 29 luglio 1605, di notte, in piazza Navona, davanti all'ambasciata di Spagna, aveva aggredito alle spalle il notaio Mariano Pasqualone da Accumoli, ferendolo alla testa con un colpo di spada. Il motivo dell'agguato era Lena, Maddalena Antognetti, una delle sue amiche prostitute. Caravaggio era stato costretto a scappare a Genova e a restarci nascosto per tre settimane.
Dentro e fuori dal carcere di Tor di Nona, nonostante il suo genio artistico Caravaggio è un personaggio sempre più imbarazzante, in un tempo in cui il conformismo e l'obbedienza alle regole del potere non ammettono la minima deroga; tanto da colpire violentemente innovatori e rivoluzionari come Giordano Bruno, condannato a morire sul rogo, e Galileo Galilei, costretto a sconfessare le sue teorie scientifiche. Le pressioni politiche da parte della famiglia di Ranuccio portano a un processo rapido che si conclude con la condanna a morte di Caravaggio, da eseguirsi mediante decapitazione. Un verdetto che potrebbe non essere così definitivo, dal momento che, dopo un certo lasso di tempo, con le giuste rinnovate amicizie e la buona disposizione del papa, anche una sentenza capitale può essere amnistiata e cambiata in qualcos'altro.
Ma c'è una postilla che autorizza chiunque incontri il condannato Michelangelo Merisi da Caravaggio a eseguire l'ordinanza, ed è questo che lo terrorizza.
Tanto che nel corso del tempo immagini di teste mozzate, anche con le sue sembianze, riempiono opere come Giuditta e Oloferne, o Salomè con la testa del Battista. Caravaggio lascia Roma e inizia un pellegrinaggio inquieto e pericoloso.
La prima tappa della sua fuga è uno dei feudi laziali del principe Filippo I Colonna, che lo fa uscire di nascosto da Roma e lo ospita per un breve periodo, fino alla fine del 1606, per poi mandarlo a Napoli presso un ramo della famiglia, i Carafa-Colonna.
Nella città partenopea, in un appartamento ai Quartieri Spagnoli, Caravaggio resta un anno, in cui dipinge intensamente e stringe amicizia con gli artisti locali.
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