Chiesa e liberali Ecco un'alleanza che s'ha da fare

S enza aprire un discorso che richiederebbe ben altra ampiezza, possiamo dire che dall'illuminismo in poi la Chiesa cattolica ha visto restringersi di molto il suo campo d'azione. Negli ultimi due secoli il processo di secolarizzazione l'ha relegata in un ambito preciso consistente nello spazio concessole dallo Stato. In altri termini è la laicità dello Stato che detta i tempi e i modi della libertà religiosa. Ci si chiede pertanto: è possibile pensare una condizione che la sottragga a tale logica? A questa domanda cerca di rispondere Raimondo Cubeddu nel suo ultimo libro La Chiesa e i Liberalismi (ETS, pagg. 135, euro 12). Cubeddu non sostiene che la Chiesa cattolica sia depositaria di un messaggio errato o sostanzialmente inadeguato ai problemi del presente e che la sua incapacità di adeguarsi alla cosiddetta modernità ne stia causando il declino. Neppure sostiene che parte dei suoi problemi derivi dall'aver scelto gli interlocutori sbagliati nel difficile dialogo con la modernità. Pensa piuttosto che quella del dialogo sia soltanto una possibilità, che non dovrebbe in tutti i casi sfociare in accordi di carattere politico. Prospettiva, aggiungiamo noi, molto difficile da raggiungere, dato che esiste una serie di ambiti dove il confine fra lo Stato e la Chiesa è esile. Si pensi solo alla bioetica.
Per fare chiarezza su questo punto è necessario, per Cubeddu, distinguere il liberalismo dalla democrazia perché le due entità sono diverse anche dopo la loro storica fusione nella liberal-democrazia. Il primo si propone la riduzione, se non l'eliminazione delle scelte collettive, la seconda mira ad una distribuzione del potere finalizzato all'estensione della partecipazione universale a tutte le decisioni pubbliche. Per il liberalismo lo Stato non ha che il compito di garantire i diritti naturali: vita, libertà e proprietà. Per la democrazia, invece, lo Stato ha il compito di realizzare i diritti: sociali, umani, ecc. tramite una limitazione dei diritti di proprietà e la loro finalizzazione al raggiungimento della giustizia sociale.
Ci si domanda dunque: la Chiesa - intesa come comunità di fedeli e non come istituto autoritario - ha interesse che il potere statale sia ampliato o sia ridotto? Cubeddu risponde affermando che l'interesse della Chiesa consiste nella diminuzione del potere politico, dato che per i democratici un fine etico legittima sempre l'imposizione collettiva. Con il prevalere di una linea liberale il credente ha maggiori possibilità di coltivare la propria fede. Cubeddu sottolinea che la Chiesa ha a lungo sottovalutato - sovente perché quelle limitazioni, se tese al raggiungimento di finalità etiche, non le dispiacevano affatto - gli effetti antireligiosi prodotti dall'aumento delle funzioni attribuite allo Stato, con la conseguenza di trasformare molte volte i «peccati» in «reati». Infatti non è detto che in un regime democratico i contenuti delle politiche pubbliche debbano coincidere con quelli che attribuisce loro la dottrina sociale della Chiesa.


La Chiesa imputa al mercato un deficit morale e crede che la coercizione insita nelle scelte collettive possa essere redenta da un fine etico. Per questo non riesce a fare a meno della politica, anche correndo il rischio di venirne schiacciata. Invece, secondo Cubeddu, non dovrebbe aver paura della libertà.

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