De Carlo, un vulcano di eruzioni tragicomiche

Inutile cercarla sulla cartina geografica: Tari, la minuscola isola vulcanica del Mediterraneo dove Andrea De Carlo ha ambientato il suo ultimo romanzo, non esiste; ma il fatto che sia un'isola che non c'è non vuol dire che i suoi visitatori assomiglino a Peter Pan. Assomigliano piuttosto a dei goffi, esilaranti pirati: a cominciare dall'archistar Gianluca Perusato, che ha avuto l'idea di spendere tutto per ristrutturare la dimora ottocentesca di uno scienziato pazzo, un po' linguista e un po' mistico, e di trasformarla in un resort di lusso. «Villa Metaphora» ha sette terrazze dalle quali si contempla il mare che ondeggia fra Lampedusa e l'Africa; e ambisce a essere l'albergo più esclusivo (e ipocritamente ecologico) del mondo.
Questo almeno è ciò che si augura l'architetto, mentre attende nervosamente l'istante in cui una clientela di nababbi farà capolino nella baia, per l'inaugurazione. Gli ospiti metteranno a dura prova i nervi di Gianluca e dei suoi pittoreschi collaboratori: un cuoco di origine spagnola che non cucina l'uovo alla coque, cucina «cannolo farcito con spuma calda di albicocca al cardamomo preceduta da un diaframma di meringa alla violetta e seguita da una coda fredda di cioccolato dell'Equador al miele di corbezzolo»; uno scultore fuggito dalla città impegnato a costruire sedie e tavolini per l'albergo, che nel tempo libero vaga per l'isola come un Calibano; un factotum, Carmine, che parla il dialetto dell'isola, un esperanto di inglese, spagnolo e italiano che ricorda il Salvatore del Nome della rosa; e naturalmente la pupa del boss Lucia Moscatigno, tutta fuoco meridionale e natiche possenti. Starà a loro domare una diva americana alcolizzata, drogata ed egocentrica, accompagnata dal marito psicologo; una coppia di anziani italiani; una francese snob di sinistra con la missione segreta di recensire l'albergo.
Già così, la miscela è esplosiva; dell'innesco, invece, si occuperanno un banchiere tedesco in rotta con il mondo, da quando è stato beccato «nel suo nido d'amore nella Goethestrasse» con una minorenne; un untuoso parlamentare italiano del P.d.M. (Partito di Merda? No, della Modernità) in completo blu; e un fotografo scandalistico, che dopo aver immortalato le tette della diva tenterà di fuggire con la refurtiva. Il clou del romanzo giunge verso la fine, quando uno yacht pieno di miliardari russi oserà gettare la sua cafonissima àncora nella baia, riuscendo pure, grazie a un assegno di centomila euro, a farsi aprire le porte del ristorante.
Quel che accadrà nella cena è un vortice perfetto nel quale si danno il cambio tutti i colori del comico, dall'umorismo nero allo sghignazzo angiportuale. E forse è troppo sostenere che De Carlo sia cambiato, perché i personaggi sono tutti degli stereotipi; ma intanto in questa sterminata Villa Metaphora (Bompiani, pagg. 921, euro 19,50) per una volta non si sonda la distanza che separa le abitudini domestiche dalle tentazioni zingaresche, come accadeva nei romanzi precedenti. Quel contrasto, infatti, non vale per chi ha un conto in banca a sei zeri. L'obiettivo è un altro: assistere divertiti al crollo delle ambizioni più boriose, misurare la faglia che si apre fra il sogno pretenzioso e la realtà. Villa Metaphora, al pari delle catastrofi che la costellano, è un romanzo tragicomico. Il motoscafo-gioiello di mogano e ottone si schianta per colpa del nocchiero imbranato; il fotografo molesto inciampa e precipita sulle rocce acuminate; l'elicotterista coglione cerca di atterrare su una delle famigerate sette terrazze, ma scorge una vecchia compagna di liceo, si emoziona e manda a schiantare il velivolo giù per il dirupo, liberando l'universo dal rischio che qualche cretina lo aiuti a replicare il suo Dna. Senza contare che la montagna che incombe a ridosso dell'albergo è un vulcano, e borbotta il suo memento mori a suon di piccoli, sinistri terremoti.


Insomma, un libro di novecento pagine nell'epoca dei tweet meriterebbe una stroncatura preventiva, e invece dalla penna di De Carlo salta fuori una godibilissima commedia nera, imparentata con il miglior Tennessee Williams. Non è il miglior romanzo del mondo? Forse è il migliore fra quelli che la gran massa dei lettori sia disposta a percorrere.

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