Un'immagine ci lascia l'8 marzo, un'immagine estetica che sconfina anche nell'etica, un'immagine che dovrebbe ritornare in molte altre date dei nostri 365 dì. Le donne passeggiano con un fiore in mano. Non più borse pesanti, pregiate, vissute, luoghi di denaro e di cose spesso inutili, sono l'oggetto che ragazze e signore mostrano tra le braccia, ma un fiore. Giallo. Dalle agenzie in rete arrivavano ieri foto di donne da molte città del mondo con tulipani, rose, narcisi e il bocciolo-emblema di questo sole marzolino: la mimosa.
Diffusore di un profumo dolce, al limite del buono, perché sarebbe sufficiente un attimino in più perché quell'odore sensuoso si rivolti in un qualcosa che sa di marcio e calpestato come foglie fradice, la mimosa è una pianta scomparsa dai giardini.
Ma nell'ottavo giorno del terzo mese all'improvviso si irraggia come una spada tenace, un brando di forza che esce d'incanto da chicchi teneri da fiore timido. Un grappolo d'uva con il pelo di un pulcino che potrebbe offrire un nettare ancora sconosciuto. Inebriante, rasserenante. Ma perché la mimosa in Italia simboleggia la donna? Quando alla fine della guerra fu scelta da tre donne dell'Assemblea Costituente, forse l'unica ragione che esse si posero fu una questione etica: un fiore povero, nulla di sontuoso, privo delle ambizioni di un'orchidea e delle tradizioni mistico-esoteriche di una rosa, un fiore disponibile che sboccia appunto a marzo.
La donna lo scelse per la sua tenacia e umiltà, sfolgoranti però in quel giallo che è in assoluto il primo colore della primavera. Primo il giallo, poi il bianco: in questo ordine sbocciano i colori. Ma un dettaglio, quasi magico, della magia di un corpo, vive nella mimosa. Se in un certo istante della fioritura le sue foglie vengono sfiorate, il fiore si chiude, si ritira, si nasconde, si protegge. Come un imene vergine, che rifiuta con orgoglio e sdegno il contatto con qualsiasi tocco. E questa per sempre è la donna, dal suo primo giorno di vita all'ultimo.
Il suo dardo è la dolcezza con cui si oppone ad ogni invasione, chiusa in un mistero, immersa in una profondità complessa, a cui lei stessa spesso soccombe per non essere circondata, in fondo, di una dolcezza che non appartiene al mondo. La donna è una mimosa: grazia anche nel nome. E il giallo? Azzardiamo alcune ipotesi. Per uno strano caso, giallo zafferano erano le tuniche delle ragazze Orse che in questo colore compivano il rito di passaggio dalla fanciullezza alla responsabilità d'essere moglie e madre.
Giallo è il colore dell'ape che nella tradizione sacra è associato a Maria Maddalena, la donna sacra per eccellenza, prescelta da Gesù per la sua prima apparizione dopo la Resurrezione. Api gialle sui manti blu e rosse dei re. Giallo è il terzo dei sette chakra, le spirali energetiche attraverso cui il nostro corpo riceve forza dall'energia cosmica. E a questo vortice energetico, situato sopra l'ombelico, corrisponde la volontà.
Mistero e volontà: la donna.
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