Il giovane Salinger e l'amore "puro" per la scrittura

L'autore del Giovane Holden, best seller degli anni '50 che troviamo ancora oggi nelle tasche dei nostri figli, fu a lungo tormentato dalla preoccupazione di non esser mai pubblicato. La sua singolare vicenda infonde un dubbio destinato a perdurare nel tempo

Il giovane Salinger e l'amore "puro" per la scrittura

“Mi piaceva considerarmi uno scrittore di racconti di professione” - “Pubblicato?” domandò la piccola Esmé; allora il buon Salinger, nei panni molto autobiografici del Sergente X, disse che la domanda era “vecchia ma sempre delicata”, una domanda “alla quale non era in grado di rispondere con un semplice sí o no”. Perché in America (come vale in tutto il resto dello stramaledetto mondo) “la grande maggioranza dei direttori di riviste sono una massa di...”. E i puntini, così sospesi, sappiamo tutti cosa volessero dirci.

Jerome David Salinger, non meno di ogni scrittore misconosciuto di questo piccolo celeste pianeta - l’unico, a quanto ne sappiamo dell'universo, che possa annoverare con certezza tra le sue arti la scrittura - è stato a lungo angosciato dalla preoccupazione di non essere mai pubblicato. Fino al fatidico marzo 1940, quando, inaspettatamente, ciò accadde. Il suo professore di scrittura della Columbia, Whit Burnett, direttore di una piccola rivista letteraria, lo pubblicò. Il racconto del giovane Salinger s'intitolava The Young Folks: un breve ritratto di giovani neworkesi dell'upper class, senza uno scopo nella vita, come lui a vent'anni. Tipi da Princeton e Yale. Tizi che il giovane Holden descriverà come "lavativi", con "vestiti di flanella grigia e quei gilè vistosissimi da perfetto finocchio", "si somigliano tutti, quei bastardi della Ivy League", pensava, mentre se ne stava seduto in un angolo immaginario a scolarsi un whisky e soda dal vecchio Ernie.

Perché mentre Salinger pubblicava racconti come "Per Esmé con amore e squallore", sullo Story Magazine, sul Collier's Weekly e poi, finalmente, sul famigerato New Yorker - dove nel '48 appare "Un giorno ideale per i pescibanana" -, il giovane Holden era già nella sua mente, in ogni passo, in ogni pensiero. Riempiva le pagine bianche di un quaderno che si era portato sempre appresso, perfino in guerra; perfino sulla spiaggia di Utha nello sbarco in Normandia. Era lì la prima stesura.

"Pubblicato?", finalmente sì, Esmé. Non si può dire con certezza se quella ragazzina adorabile e furba fosse stata incontrata per davvero, in una sala da té nel sud dell'Inghilterra, mentre erano in corso i preparativi del D-Day; o seppure ella non era altro che un personaggio della sua tenera fantasia, magari un alter ego di Oona O'Neill, la figlia del noto drammaturgo di cui si era innamorato. Forse lei le aveva chiesto, una sera, in qualche ritrovo alla moda dove si erano conosciuti, se faceva lo scrittore per gioco e illusione, o se era stato "pubblicato". Il vecchio J.D. probabilmente tergiversò. Girò intorno alla domanda, rispose come il sergente X. Poi la prima pubblicazione, l'amore, e inequivocabilmente lo squallore: nello scoprire che Oona avrebbe sposato Charlie Chaplin mentre la guerra che lo vedeva distanta. Guerra che rischiava di non lasciare tutte le sue "facoltà" intatte.

Lo rimasero, intatte; perché nel 1951 consegnerà il suo primo romanzo: "The Catcher in the rye”, un capolavoro che noi in Italia conosceremo solo paio di anni dopo, prima con il titolo di Vita di un uomo, poi come Il Giovane Holden. In pochi si fermeranno a capire perché il titolo tradotto fosse tanto differente; e quanto l'originale, almeno in America, fosse tanto evocativo (“Il prenditore nella segale”, tratto dalla poesia di Robert Burns). Per parte nostra possiamo almeno bearci della stupenda traduzione di Adriana Motti; che si è inventata di sana pianta espressioni indimenticabili come "infanzia schifa"; o "sì col fischio", la bella rispostina che rifila quella screanzata di Sunny, la prostituta rimediata dall’addetto all’ascensore, il vecchio Maurice.

Pubblicato, ristampato, tradotto in venti lingue, venduto, terminato e ristampato. Una media di 250mila copie l’anno. Il romanzo di formazione di Salinger è un successo planetario. Ispirerà i figli della sua generazione, la generazione X e ogni generazione a seguire. Un rifugio per i giovani ribelli che si fanno le ossa in un mondo che gli puzza già di nostalgia. Ma a lui, a Salinger, basteranno due anni di chiara fama per rimanere terrorizzato. Per fuggire dalle conferenze e dai salotti alla moda di New York e ritirarsi, per sempre, nelle campagne del New Hampshire. Nascosto nel suo bunker di legno e fogli scriverà solo altri due libri per il pubblico, entrambi imperniati sulle vicende dalla famiglia Glass: Franny e Zooey e Alzate l’architrave, carpentieri e Seymour. Gli altri libri, Nove racconti e I giovani sono raccolte di racconti precedentemente pubblicati su riviste. Tutto il resto lo terrà per se.

È ancora difficile stabilire se per Salinger sia stata più traumatica l’esperienza della guerra - divenne membro dell’intelligence addetto al controspionaggio, entrò nel campo di concentramento di Dachau e svolse per anni interrogatori ai prigionieri - o l’ottenimento della fama. La consacrazione a romanziere di successo. A scrittore di “racconti per professione”. Ciò che è certo, per dichiarazione dell’autore in persona, è che l’esilio volontario e la volontà di continuare a scrivere, sempre e solo per se stesso, senza mai più essere “pubblicato”, avvenne per il puro amore della lettura. Lasciando a molti dei giovani scrittori che lo hanno succeduto, un dubbio tanto profondo da risultare incolmabile se privo di un’esperienza vissuta in prima persona: è dunque così importante essere pubblicati? E vendere 250mila copie in un anno ed essere invitati nei salotti altolocati della piccola fetta di mondo che si abita? Chi può dirlo, se non si arriva fino a quel punto. Se non si sfiora quella blasonata vetta. Chi può.

In un bel documentario dedicato alla vita di Salinger, un magistrale Kevin Spacey nei panni del suo mentore e ispiratore, il professor Burnett, porta allo stremo della pazienza un giovane Salinger per spiegargli come si riconosce un vero scrittore: “Colui che è disposto a scrivere per tutta la vita, anche a rischio di non essere mai pubblicato”. Per lui era tutta là, la differenza tra un vero scrittore e un aspirante.

Per il giovane Holden invece, gli scrittori erano “quelli che lasciano proprio senza fiato” nei loro libri, “che quando li hai finiti di Leggere, vorresti che l'autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira”. Salinger era uno di loro. Direi che possiamo esserne certi.

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