I Mumford&Sons incantano Milano

Ieri sera all'Alcatraz di Milano è andato in scena il concerto della band inglese più amata del momento. Migliaia i fans in coda all'uscita fin dalla prime ore del mattino

I Mumford&Sons incantano Milano

Milano – Sono le 22:00 quando la musica di sottofondo scema fino a svanire. Le luci sul palco dell'Alcatraz si accendono. Compaiono loro: i Mumford&Sons.
Il loro ingresso è accompagnato immediatamente da un entusiasmo contagioso e trepidante. L'inizio è subito scoppiettante con i singoli “Babel” (che dà il titolo al loro ultimo album) e “I Will Wait”.
I fans scatenati cantano assieme alla band senza perdere una parola delle canzoni, saltando e battendo le mani a tempo. Ed è già pelle d'oca. L'Alcatraz è pieno, più delle aspettative; il leader della band, Marcus Mumford, ammette che è stata anche per loro una grande sorpresa.
Una dopo l'altra si susseguono le canzoni e l'entusiasmo e la partecipazione dei migliaia di fans cresce sempre di più.
Nella loro seconda tappa milanese di sempre, i cantanti inglesi più in voga del momento tentano alcune battute in un incerto, ma molto apprezzato, italiano. E' Ben Lovett, tastierista (ma anche organista, fisarmonicista, corista e organista) della band, quello che dimostra una maggiore padronanza della nostra lingua, cercando di sovrastare le urla dei fans che incalzano ad ogni sua parola; scrive su Twitter: “i can speak Italian i am right now but you can't hear me because of them people” (“io so parlare italiano, lo sto facendo ora, ma non mi potete sentire a causa della gente”) e ancora scherza “marcus just said he smells bad in Italian “ (“Marcus ha appena detto che la sua voce suona male in italiano”).
La scaletta continua con “Whispers in the Dark”, “White Blank Page”, “Holland Road” e “Timshel” e si ha come l'impressione che sia il pubblico a scaldare sempre di più i MumfordSons: Winston Marshall al caratteristico banjo (che è anche bassista, corista e chitarrista resofonico) e Ted Dwayne alla batteria (anche lui però polistrumentista e corista) sono scatenati.
La band e i fans sono un tutt'uno di energia, canto e ballo.
L'atmosfera, grazie anche al gioco scenografico di luci, è magica e suggestiva e il pubblico è completamente assorbito e coinvolto dal gruppo.
Seguono i successi “Little Lion Man”, “Lover of the Light”, “Thistle&Weeds”, “Ghosts That We Knew” e “Hopless Wanderer”, prima dei quali un gruppo di fans (approfittando della momentanea interruzione) alza uno striscione bianco con la scritta “14 Marzo. HABEMUS MUMFORD”.
Marcus incita la folla e, tra uno scambio e l'altro di strumenti e di postazioni, suona con il gruppo “Awake My Soul”, “Roll Away Your Stone” e “Dust Bowl Dance”.
Come da copione, sembrano sparire e i fans cominciano a guardarsi intorno per cercare di capire da che parte appariranno. Ed eccoli spuntare dalle transenne sopraelevate, nella postazione dove Radio Due sta trasmettendo la diretta. Un coro di applausi e urla li accompagna. Tutto L'Alcatraz, fino a un secondo prima completamente avvolto dalle urla e dagli applausi, cala in un silenzio tombale per dare la possibilità alla band di dare spettacolo con l'impeccabile perfomance acustica a cappella del singolo “Sister”. L'atmosfera (nonostante la doppia interruzione di una fan un po' troppo “esuberante”) è surreale.
Lo spettacolo in scena a Milano si conclude (nonostante la richiesta dei fans di fare il bis) con i due grandi successi del precedente album (“Sigh No More”), ovvero “Winter Winds” e “The Cave”.

L'impressione che anche la persona meno competente di musica si porta dietro dopo un concerto così, è di essere in presenza di una band dalla bravura musicale e dalla presenza scenica evidente.


Non una stonatura, non un calo di tensione: tutto lo show rimane costantemente a livelli altissimi e diventano ancora più chiari i motivi che hanno reso questa band, un po' folk, pop e rock, una della più amate e di successo del mondo.
Il pubblico di Milano ringrazia e li aspetta ancora, oggi ancora di più, per il prossimo entusiasmante spettacolo.

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