I numeri uno degli anni Zero

I migliori esordienti italiani del Terzo Millennio? Snobbati dall’industria culturale, dalla tv e dai premi: l'antologia futuribile di Andrea Cortellessa

I numeri uno degli anni Zero

Sono venticinque, non uno di più, non uno di meno. E tanto per toglierci il pensiero, meglio elencarli subito, prima che il lettore si spazientisca. I più bravi scrittori degli ultimi dieci anni, gli unici a essere stati ammessi nell’antologia del critico letterario Andrea Cortellessa, sono Tommaso Pincio, Paolo Nori, Ugo Cornia, Antonio Pascale, Francesco Permunian, Nicola Lagioia, Christian Raimo, Leonardo Pica Ciamarra, Laura Pugno, Franco Arminio, Paolo Morelli, Emanuele Trevi, Giorgio Falco, Giuseppe A. Samonà, Eugenio Baroncelli, Ornela Vorpsi, Luca Ricci, Luca Rastello, Roberto Saviano, Babsi Jones, Andrea Bajani, Francesco Pecoraro, Giorgio Vasta, Gabriele Pedullà, Gilda Policastro.
Non ne conoscete nessuno, a parte Saviano che vi sta antipatico? Ne conoscete solo tre o quattro, e naturalmente non li leggete? La colpa è dell’industria culturale, dei programmi tv «perbene» che però invitano gli scrittori-cantanti e gli scrittori-calciatori, dei premi taroccati. Dei recensori pigri, incompetenti o prezzolati. Non del curatore. Il quale ha zittito ogni tentazione mondana, e si è fatto sordo a ogni squillo di tromba della celebrità: «La sede presente, sia o meno titolata a farlo, prende l’impegno di discriminare i testi precisamente, ed esclusivamente, sulla base della loro qualità letteraria». Una qualità immediatamente controllabile nelle pagine antologizzate (una quindicina a testa), certificata da una nota dello stesso Cortellessa e suffragata da una consistente selezione della letteratura critica. È finito il tempo in cui i Citati e gli Arbasino potevano fingere che, dopo di loro, nulla fosse apparso di nuovo. Adesso non hanno più scuse, carta canta. E canta dopo un torpore durato vent’anni: era addirittura il lontano 1991 quando Antonio Franchini e Ferruccio Parazzoli pubblicavano negli Oscar Mondadori l’ultima crestomanzia «notevole», quell’Antologia dei nuovi narratori che a sua volta seguiva di qualche anno la celeberrima Under 25 di Pier Vittorio Tondelli.
L’antologia di Cortellessa, un numero triplo della rivista L’Illuminista (Narratori degli Anni Zero, pagg. 702) diretta da Walter Pedullà, non mancherà di suscitare polemiche. Perché non ha l’obiettivo di rappresentare il meglio della narrativa italiana dal Duemila a oggi, cosa che avrebbe costretto a inserire Malerba o Vassalli, ma di selezionare i più bravi fra coloro che hanno esordito negli «anni Zero». Nell’ipotesi, un po’ giacobina, formulata da Walter Pedullà all’inizio del volume, che «il passato sarà pure glorioso, ma ha detto quanto aveva da dire». Cortellessa ha escluso la prosa saggistica, i professori in età, gli scrittori con la tendenza all’involuzione creativa. Via a malincuore il Magrelli dello straordinario Condominio di carne, troppo affermato come poeta per travestirsi da esordiente; lo Scurati del Sopravvissuto, irrintracciabile nei romanzi successivi; il Genna dell’Assalto a un tempo devastato e vile, persosi un dì nei boschi postmoderni. Entra nel club, paradossalmente, chi (per esempio i novissimi Gilda Policastro e Gabriele Pedullà), avendo pubblicato ieri, non ha avuto il tempo di autodissolversi.
Perché per il diabolico Cortellessa, «si sa, in ogni antologia il grado di aggiornamento è inversamente proporzionale alla sicurezza delle scelte». Restano fuori, in fila senza biglietto, autori che hanno scritto almeno un grande libro: dall’Alberto Garlini di Fùtbol Bailado al Guido Conti del Tramonto sulla pianura all’Apolloni del Mistero della locanda Serny. Resta fuori Rosa Matteucci, e il perché di tutte queste - legittime - esclusioni forse lo abbiamo capito. Cortellessa non vuole volare come la nottola di Minerva che appare quando tutto è compiuto e bisogna solo museificare. Vuole inchiodare un po’ di gente che promette bene al monito della sua selezione. Guarda al futuro dei suoi prediletti.

Perché un’antologia dovrebbe avere la stessa funzione che, secondo Cioran, aveva il saggio Du Pape di De Maistre: richiamare ai suoi doveri il Santo Padre che traccheggia, costringerlo a rendersi conto di quali e quante cose ci si aspettino da lui. Far capire ai ragazzi che ormai sono letteralmente entrati nelle antologie: potranno anche deludere, ma non potranno farlo più a cuor leggero.

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