I padri (intellettuali) del carattere europeo. Il catalogo è questo!

Il nostro miglior biografo traccia l'albero genealogico "spirituale" del Vecchio continente. Da Cagliastro a Benjamin

Il librettista Lorenzo Da Ponte
Il librettista Lorenzo Da Ponte

Dopo la Seconda guerra mondiale, quando i grandi giornalisti (Montanelli, Artieri) si recavano in Giappone per intervistarlo, Harukichi Shimoi era un torrente in piena: "So che Mussolini, nel '35, s'inscimunì 'nu poco. So che corse appresso a Hitler e alle fimmine... Adesso penserete che questo povero vecchio è 'nu poco scemo. E per questo mi vogliono epurare. Mi epurino pure. Io 'ccà sto!".

Se vi state chiedendo perché mai un giapponese parli il napoletano dovete leggere Daguerréotype. Ritratti di europei (Aragno, pagg. 256, euro 25), l'ultima impresa del più sulfureo dei nostri biografi, Giuseppe Marcenaro. Shimoi, che recitava a memoria Dante, Petrarca e Leopardi, fu invitato nel 1914 a Napoli grazie all'intercessione dell'ambasciatore italiano e divenne una delle figure centrali della scena culturale partenopea. Era amico di D'Annunzio e Mussolini. A Montanelli avrebbe confessato cosa pensavano l'uno dell'altro: "Chistu lu dico a vui, e a vui soltanto, tengo 'a vostra parola, guaglio': per D'Annunzio Mussolini era 'nu cafone; e per il cafone il Vate era 'nu pagliaccio". Durante la Grande guerra (i campi coperti di cadaveri gli ricordavano le illustrazioni del Doré alla Divina Commedia) combatté nell'esercito italiano, poi partecipò all'impresa di Fiume. Alla fine il Duce lo rispedì in Giappone, come propagandista del fascismo...

Quante parole servono per riassumere una vita? Meno di dieci, rispondono le lapidi sulla via Appia, "Ho navigato a lungo e visitato paesi lontani". Però negli ultimi tempi si finisce per farsi bastare fra le dieci e le trenta pagine. Il Bobbio di Maestri e compagni, gli Esercizi di ammirazione di Cioran, i folgoranti ritratti compresi nella Malattia dell'infinito di Pietro Citati ma anche le Tumbas di Cees Nooteboom o i cammei di Soli eravamo di Fabrizio Coscia hanno queste dimensioni e a questa misura ormai aurea si attiene Marcenaro. Di un tono più mondano e leggero rispetto a quelli contenuti nelle precedenti raccolte, sono "dagherrotipi" perché sul punto di impallidire e cancellarsi, come il mondo perduto che vorrebbero evocare.

Marcenaro è convinto che il perimetro spirituale dell'Europa sia l'opera di una staffetta che viaggia lungo i secoli e le nazioni, passando fra le mani di un nucleo minimo di scrittori, poeti, artisti, da Lancelot Capability Brown a Walter Benjamin. L'effetto che dà seguire questo tracciato è l'ebbrezza: Cagliostro, ad Aix-en-Provence, fu smascherato da Casanova ("Vive con i proventi della moglie, che spinge nel letto di ricchi personaggi"); Casanova a sua volta conobbe Lorenzo da Ponte, al quale diede un consiglio ("Da' lezioni di italiano!") che salverà il librettista di Mozart quando giungerà a New York senza un soldo in tasca. A New York, Da Ponte racimolerà 150mila dollari per aprire l'Italian Opera House, proprio dietro il Broadway. E a chi assegnò il ruolo di direttore del coro? A Piero Maroncelli, l'amputato dello Spielberg, che veniva trasportato a braccia da una parte all'altra del teatro. Maroncelli era arrivato a New York con Amalia Schneider, "una prorompente cantante che l'aveva condotto con sé in America. Si erano stabiliti a New York: la Schneider cantava e Maroncelli suonava l'organo nella chiesa francese".

Cambiamo scena. Byron, a Genova, riceveva Stendhal, ma a Parigi l'autore dei Ricordi di un egotista era spesso accolto in casa dell'aristocratico Astolphe De Custine, alle cui "agapi" era facile incontrare Hugo, George Sand, Gautier, Balzac, Lamartine e Baudelaire. La madre di Custine era stata per tre anni l'amante di Chateaubriand. E Gibbon, autore della celebre Storia della decadenza e caduta dell'impero romano, per poco non sposò la futura madre di Madame de Stael.

Dietro l'ossessione orizzontale per la rete che formava l'intellighenzia europea si cela forse un altro rovello, stavolta verticale. Quello di immergersi negli abissi del passato servendosi come scafandro di testimoni oculari. Se Stefan Zweig, come raccontò in una pagina del Mondo di ieri, raggiunse il nirvana il giorno in cui fu presentato a una vecchia sulla quale, quando lei era in culla, si erano posati gli occhi di Goethe, in Ammirabili e freaks, volume raro e un po' sinistro uscito qualche anno fa per i tipi di Aragno, Marcenaro raccontò di quando la sorella di Clemente Rebora, ormai vecchissima, gli mimò il modo in cui camminava Dino Campana, che sessant'anni prima era stato suo ospite. Nei Daguerréotype il balzo temporale che fa girare la testa è quello che va dall'autore al giornalista Giovanni Ansaldo alla bellissima Maria Sofia Wittelsbach, moglie di Francesco II di Borbone, partita per l'esilio nel 1861. Di lei diciannovenne si scova su una bancarella una foto ("Cinque euro per portarsi a casa il ritratto di Maria Sofia, l'ultima regina di Napoli") che la mostra con un cappello da caccia e un ampio mantello bianco, la stessa mise che portava sugli spalti della fortezza di Gaeta assediata dai piemontesi, dove faceva la gradassa. "Non sparate alla signora", aveva ordinato il generale Cialdini. Marcenaro ricorda di quando Ansaldo andò a trovarla nel dicembre del 1923, a Monaco. Abitava in un mezzanino confinante con gli uffici della Deutsche Bank, ospite del figlio del duca Carlo Teodoro. Aveva perso tutto, avendo investito in titoli austriaci. "Ad Ansaldo disse Non ho neanche i mezzi per abbonarmi a qualche rivista italiana e per comprarmi le ultime novità di Treves". Vent'anni prima, assassinando Umberto I, era riuscita a vendicarsi dei piemontesi che le avevano sfilato il trono da sotto il sedere...

Dopo Gaeta, rifugiatasi a Roma dove visse a Palazzo Farnese, Maria Sofia dovette di nuovo traslocare per colpa della breccia di Porta Pia. Si trasferì allora in Francia, in una villa a Neuilly e lì, grazie all'amicizia con Angelo Insogna, un giornalista di fede borbonica, si era avvicinata a rivoluzionari d'ogni risma. "Marcel Proust, che frequentò il salotto di Maria Sofia, la ricorda come la regina degli anarchici". L'uccisione del "re buono" sarebbe stata concepita alla "corte di Neuilly". Sarebbe stato Insogna - scrive Marcenaro - a fornire il denaro per far arrivare da New York Gaetano Bresci, il regicida di Monza: "Guido Guiccioli, intimo collaboratore di Giolitti, scriveva che il governo ha le prove di come fu ordito il complotto di Monza.

La regina Maria Sofia ne fu l'ispiratrice e la mandante e procurò i mezzi necessari per attuarlo". Se Cialdini, a Gaeta, avesse avuto la sfera di cristallo di certo avrebbe fatto saltare in aria "l'ultima regina di Napoli" con tutto il cappello.

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