Gli intellettuali al potere? Falliscono (quasi) sempre

Sinistra e centrodestra spesso affidano a nomi di grido incombenze in gran parte burocratiche. Per le quali più che il talento serve la pratica

Gli intellettuali al potere? Falliscono (quasi) sempre

In un articolo di mercoledì scorso Luca Nannipieri spiegava sul Giornale quale grande sforzo faccia la sinistra per arruolare nelle sue istituzioni culturali intellettuali di grido o star dello spettacolo, e quanto modesti - per usare un eufemismo - siano i risultati da loro ottenuti in incarichi operativi. La notorietà televisiva o i blasoni di un’intellighenzia autoreferenziale fanno aggio su ogni altra dote. Qualche designato provvisto di senso del limite - il cantante Roberto Vecchioni, ad esempio - è fuggito con le mani nei capelli dopo aver visto in quale inferno si sarebbe andato a cacciare. I più resistono impavidi. Il fenomeno è particolarmente evidente a sinistra perché ormai la maggioranza delle amministrazioni abilitate a elargire assessorati ha quel colore, e perché attorno a quelle bandiere s’assiepano numerosi i maestri del sapere o piuttosto dell’apparire.

I loro fallimenti sono d’una evidenza abbagliante. Ma vengono poco reclamizzati. La tante volte citata - non a torto - egemonia culturale della gauche ammorbidisce le critiche. Preferibilmente ridotte a dispute sui sommi principi tra sommi pensatori. Invece si tratta d’iniziative concrete e di palanche. Chi va in video e dalle piazze televisive è osannato, viene ritenuto attendibile ed esperto anche come responsabile di musei e di biblioteche, addirittura responsabile - in positivo - di tutto. Nessuno si stupirebbe se Roberto Saviano - al quale mi guardo bene dal negare i meriti letterari e civili che ha - fosse designato come presidente del Consiglio o della Repubblica.

L’Italia ha gran bisogno di servitori dello Stato che sappiano rimediare alle sue innumerevoli magagne, e la società degli eletti e dei cooptati offre laureati in lettere o in legge o in scienze politiche. Attività, le loro, degne del massimo rispetto, ma non ansiosamente richieste dal mercato del lavoro. Anni addietro era ministro della Giustizia il leghista Castelli, che a me è piuttosto antipatico e che è ingegnere. Un’orda di magistrati cosiddetti impegnati s’era scagliata contro questo intruso che osava, lui vile tecnico, avventurarsi nei sublimi misteri del giure. Il quotidiano Repubblica pubblicò tra le lettere quella d’un ingegnere - anche lui senza dubbio politicamente impegnato - che azzardava un ragionamento semplice semplice. Se a me ingegnere, scriveva press’a poco, viene sottoposta una questione di diritto, cerco di rispondere, a lume di buon senso, ma se ai cervelloni umanistici è sottoposto uno dei calcoli che io faccio, non sa nemmeno da che parte girarsi. Benché io sia laureato in legge ho applaudito quell’ingegnere.

La caccia ai soliti o insoliti noti per poltrone pubbliche non è un’esclusiva della sinistra. Quando ha potuto ci si è provato volonterosamente anche il centrodestra. Iva Zanicchi ha sicuramente portato nell’europarlamento una ventata di genuinità emiliana, ma non una conoscenza specifica dello spread. Un discorso a parte esige la coerenza, o se preferite l’ostinazione, con cui il centrodestra ha voluto affidare a Vittorio Sgarbi mansioni di sottosegretario o di assessore comunale a Milano. Sgarbi è a mio avviso un prodigio, in stile dannunziano. I lettori del Giornale lo constatano quotidianamente leggendo i suoi interventi. Ma proprio perché è genio e sregolatezza gli mancano le doti - da travet, se volete - necessarie a chi gestisce la cosa pubblica. Non è puntuale, non è disciplinato. Guai se lo fosse. Ma guai a metterlo in un ufficio pubblico. Non avrei mai indicato, come tutori della cultura nelle sue implicazioni burocratiche, Giacomo Leopardi o Ugo Foscolo o Eugenio Montale. Mi si potrà obbiettare che il Vate Gabriele, da me accostato al quasi Vate Sgarbi, fu uomo d’azione oltre che di versi. Ma anche lui come assessore alla Cultura avrebbe fallito. Mussolini lo foraggiò assicurandogli la pensione dorata del Vittoriale per toglierselo di torno.
Per verità, tra i nominati a funzioni culturali i geni non abbondano.

Si ha qualche talento che non appena viene inserito nella routine delle prebende pubbliche smette di studiare e d’aggiornarsi. Da grande promessa diventa in un batter d’occhio l’insigne maestro. Meglio lasciarli oziare, questi personaggi. Provocano meno danni che dandosi da fare.

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