Irlanda, quando gli scrittori hanno "creato" una nazione

L'Irlanda, dominata dall'Impero britannico, divenne indipendente nel 1921. Ma era già "rinata" grazie a scrittori e poeti come Joyce e Yeats.

Irlanda, quando gli scrittori hanno "creato" una nazione

Nel dicembre scorso l'Irlanda ha celebrato un secolo di indipendenza dalla corona britannica, che il 6 dicembre 1921 concesse allo Stato Libero d'Irlanda la separazione definitiva dal Regno Unito. Trattata a lungo come prima e più prossima colonia di Londra, popolata da centinaia di migliaia di coloni unionisti, ancora oggi maggioritari nelle contee del Nord, terra a lungo poverissima, travolta nell'Ottocento da carestie e emigrazioni di massa, l'Irlanda è potuta resistere e, dunque, esistere solo grazie a un forte e deciso spirito identitario.

In particolare, l'Irlanda dell'inizio del Novecento conobbe una vera e propria fioritura culturale che fece da preambolo all'indipendenza e a una storia vissuta, nei decenni successivi, pericolosamente tra la neutralità nella seconda guerra mondiale, i conflitti interni nell''Ulster britannico con l'Irish Republican Army, infine la Brexit che ha riportato allo scoperto la profonda ferita aperta nell'isola celtica dalla divisione tra una nazione ben definita e l'antico colonizzatore. "Ciò che credo vi avvenne fu visione", dice dell'Irlanda un verso di Séamus Heaney, il poeta premio Nobel 1995. L'Irlanda è terra di visioni, di sogni, di racconti, terra di un popolo paziente e tenace quanto vasti sono i suoi cieli. Luogo tranquillo e delicato, segnato da una storia difficile, fatta di sfruttamento e povertà, sfociata in un'indipendenza ancora relativamente recente, negli ultimi tempi appiattita sull'edonismo tipico del paradiso fiscale rampante che Dublino è diventata.

Ma questa Irlanda, con tutte le contraddizioni e le complessità di una nazione moderna, non esisterebbe senza i suoi bardi contemporanei, senza gli alfieri della fase tumultuosa del Rinascimento celtico figlii della cultura identitaria irlandese e suoi "bardi" nel mondo. A cavallo tra il tardo Ottocento, età in cui il nazionalismo romantico sfociava nel positivismo, e il Novecento, secolo di idee assassine, di nazionalismi sangue e suolo, di neo-giacobinismi bolscevichi e di iper-individualismi neoliberali, l'Irlanda conobbe uomini che seppero cantarne le bellezze, le specificità, la storia prendendo spunto dai suoi luoghi più simbolici. Fabrizio Pasanisi ha sottolineato ne L'isola che scompare il legame organico nato tra l'Irlanda e i suoi cantori. Nel suo libro che unisce cronache di viaggio e escursioni nella storia, Pasanisi esprime un vero e proprio atto d'amore per la terra delle verdi brughiere, isola "percorsa dalle storie, non meno dell’Italia, storie che vengono dalla terra, storie che riempiono l’aria, tra una pioggia e l’altra, storie che nascono dalla fantasia – e da dove sennò -, dalla fantasia e dalla vita – e da dove sennò -, e restano per noi, che ci rechiamo lì, e riconosciamo i luoghi, i personaggi, in un volto, tra le rive di un fiume".

I grandi letterati, gli scrittori, i poeti, gli autori di teatro riscattarono l'Irlanda dopo il secolo delle umiliazioni, delle grandi carestie, delle fughe in massa oltre Atlantico che costituirono la grande comunità di americani di origine celtica. William Butler Yeats (Nobel per la letteratura nel 1923) e la sua antologia Poems and ballads of Young Ireland (1888) furono il calcio d'inizio del Rinascimento celtico. A Yeats, celebrato ideologo di questo movimento culturale, espressione di patriottismo e nazionalismo intriso di suggestioni decadentiste e simboliste, si devono la creazione prima della National Literary Society di Londra (1892), poi dell'Irish Literary Theatre (1897) e successivamente dell'Irish National Theatre Society (1902). Istituzioni che ricordarono agli irlandesi il loro ruolo non solo in seno all'Impero britannico ma anche nella storia d'Europa. Yeats fu premiato dall'Accademia del Nobel per "la sua poetica sempre ispirata, che con alta forma artistica ha dato espressione allo spirito di un'intera nazione", e nel libro di Pisanesi appare assieme ai suoi versi ai piedi del Ben Bulben, mentre le sue parole riecheggiano tra il fruscio del vento che sferza la sua casa-torre a Thoor Ballylee.

Cinico e critico verso la società irlandese del tempo fu invece James Joyce, romanziere cosmopolita e perennemente attivo nel Vecchio Continente, ramingo tra Parigi (epicentro della Belle Epoque e capitale culturale d'Europa), Trieste (Atene mitteleuropea nell'ultima era austroungarica), Zurigo (polo di scienza e conoscenza), sardonico nei suoi libri, da Gente di Dublino a Ulisse, contro una presunta vena bigotta e reazionaria della società irlandese. Anticonformista e graffiante, Joyce contribuì però a storicizzare con le sue contraddizioni il popolo irlandese. Pasanisi si cimenta e bene nel genere del dialogo immaginario, facendogli dire cose molto divertenti, evidenziandone il lucido disincanto, come se il grande scrittore fosse, ancora in attesa, seduto a un pub della vecchia Dublino a contemplare gli idealtipi sociali nella forma dei suoi cittadini. Oggigiorno zelantemente progressisti, liberal, cosmopoliti come fino a ieri erano stati ferventi cattolici, più papisti del Papa. “Se riesco a raggiungere il cuore di Dublino, riesco a raggiungere il cuore di tutte le città del mondo”, scrisse Joyce, lucido e lungimirante.

Pasanisi guida poi lungo la frastagliata costa irlandese, da Cork a Limerick, da Galway a Sligo, tocca l'antica capitale culturale, e odierna capitale della birra, di Kilkenny. Assieme ai due giganti, altri autori hanno contribuito a consolidare il recupero dell'identità irlandese come cifra distintiva della nazione nel mondo. Flann O'Brien (Una pinta d'inchiostro irlandese) e Samuel Beckett, futuro premio Nobel nel 1969 (Aspettando Godot), sono tra questi. Premio Nobel per la letteratura (1925) fu anche George Bernard Shaw, altro grande irlandese che segna il passaggio dal XIX al XX secolo.

L'Irlanda nacque politicamente negli Anni Venti, ma era già nata da tempo nella testa e nel cuore dei suoi grandi narratori. Che riconsegnarono alla storia la nazione, la idealizzarono e la resero un'idea materiale al tempo stesso.

Un secolo dopo, possiamo parlare di un'impresa che unisce Dante e Manzoni assieme, e di un progetto culturale capace di avere fini sistemici e politici. Quando si dice che la penna è più potente della spada, basta pensare all'isola celtica che si fonde con i suoi narratori e cantori.

L'isola che scompare

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