MODERNI Non c’è pace per le ossa del Merisi

MODERNI Non c’è pace per le ossa del Merisi

«È comprensibile che i cittadini di Porto Ercole siano orgogliosi di una tradizione falsa e tendenziosa che vuole che Caravaggio morto su quei lidi per una malattia». A parlare così è Vincenzo Pacelli, studioso del pittore lombardo. Da anni Pacelli sostiene che Caravaggio sia stato ucciso a Palo, presso Civitavecchia, in Terra Pontificia, forse da sicari appartenenti all’Ordine dei Cavalieri di Malta. Un’idea ribadita alla vigilia della pubblicazione di un volume che non piacerà a chi sostiene di aver trovato proprio in un ossario a Porto Ercole le spoglie mortali del Merisi.
Alla base della teoria di Pacelli c’è una constatazione: nessuno è mai riuscito a capire perché Caravaggio partendo da Napoli se ne sia andato a Porto Ercole. L’obiettivo del pittore, condannato a morte in contumacia dalla giustizia dello Stato Pontificio per l’uccisione di un uomo in duello, era rientrare a Roma dopo aver ottenuto il perdono del Papa. Ma a tal fine la scelta della località resta inspiegabile, perché l’Argentario apparteneva non al papato ma allo Stato dei Presidi.
Le due fonti maggiori sulla vita del Caravaggio (lo storico Bellori e il pittore Baglione) concordano nel raccontare che, una volta sbarcato sulla costa tirrenica, il pittore venne arrestato «in cambio» di qualcun altro e poi rilasciato. Ma la feluca su cui viaggiava e che conteneva i dipinti promessi al Papa era già ripartita, ed egli, inseguendola o forse attendendone il ritorno sulla spiaggia, si era ammalato ed era morto. Cosa vuol dire «in cambio»? Venne scambiato per un ricercato? Oppure doveva entrare a far parte di uno scambio tra prigionieri?
Pacelli ha scovato una lettera inviata, diciotto giorni dopo la morte del Caravaggio, dal Nunzio Pontificio a Napoli Deodato Gentile al cardinale Scipione Borghese, nipote del Papa e gran collezionista. In cui si spiega che il pittore è stato arrestato a Palo, che la feluca è tornata a Napoli e che il Merisi, pagato un riscatto, si è avviata verso Porto Ercole, «per la terra e forse a piedi», e lì è morto. Dopo poche settimane i quadri rientrati a Napoli furono oggetto di una complessa trattativa tra l’Ordine di Malta, la marchesa di Caravaggio (la protettrice dell’artista), il viceré e Scipione Borghese. Ma basta questa spartizione col cadavere ancora caldo per dire che le quattro parti erano d’accordo nell’ammazzarlo e poi spargere la vulgata senza senso di un suo approdo postremo nello Stato dei Presidi? Proprio l’indicazione di Porto Ercole è invece così anomala da non poter essere che autentica. E infatti decine di dispacci d’ambasciata (allora equivalenti a fonti d’intelligence) inviati nelle settimane seguenti la morte concordavano tutti nell’indicarne in Porto Ercole il luogo. Persino quello su cui si posa la teoria di Pacelli.
Ma anche il metodo su cui si si fonda il rinvenimento delle ossa lascia perplessi. Nel 2001 un’archeologa, Giovanna Anastasia, annunciò di aver ritrovato l’atto di morte del pittore nell’archivio dell’antico ospedale di Porto Ercole. Chi ha visto quel cartiglio ha seri dubbi di ordine paleografico sull’autenticità del documento (l’inchiostro non convince). Nel 2009 la stessa studiosa si è poi ricordata che già nel lontano 1963 la tomba di Caravaggio era stata scoperta nel cimitero di San Sebastiano. Ma il parroco di allora avrebbe deciso di inumare la salma nella cripta di sant’Erasmo, trasformata in ossario. È credibile che non ne abbia informato le autorità? È lì che gli esperti hanno rinvenuto le ossa compatibili con il patrimonio genetico del pittore.

Compatibilità verificata raffrontandole solo con il Dna di alcuni discendenti della famiglia Merisi, dunque del padre. Dimenticandosi così che esisteva anche la madre, Lucia Aratori.
Cose che succedono a giocare ai Ris con la storia dell’arte…

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