Morto Ulay, silenzioso "principe consorte" di Marina Abramovic

Morto Ulay, silenzioso "principe consorte" di Marina Abramovic

Ci sono anche uomini che hanno fatto un passo indietro rispetto alle loro donne, ma questa non è ragione sufficiente per montare su una polemica. A Lubiana è scomparso Ulay, il più celebre «principe consorte» della performance art, immolato sull'altare di Marina Abramovic, che ha immeritatamente oscurato il valore e l'originalità di quel ragazzo efebico e metrosexual che Marina se la portò via da Belgrado e insieme cominciarono un lungo viaggio per il mondo, conclusosi simbolicamente passeggiando in due direzioni opposte sulla Muraglia Cinese, dopo dodici anni ognuno per la propria strada. Roboante quella di lei, silenziosa, quasi invisibile, quella di lui.

Ulay si chiamava Frank Uwe Laysiepen ed era nato nel 1943 a Solingen in Germania, figlio di un gerarca nazista. Inseguito dal senso di colpa e orfano fin da piccolo, rinuncia al nome e alla nazionalità tedesca, dopo un matrimonio fallito se ne va ad Amsterdam attratto da provos, anarchia e cannabis. Prima dell'incontro che cambierà la vita (di entrambi) Ulay comincia a sviluppare lavori di Body Art e fotografia, restituendo un'immagine ambigua tra maschio e femmina, guardando ad autori en travesti come Duchamp, Pierre Molinier e Hannah Wilke.

Il 30 novembre 1976 è da segnare in agenda: è il suo compleanno, ma anche quello di Marina Abramovic (nata nel 1946). Si conoscono a De Appel, Amsterdam, proprio quel giorno, battezzato dagli astri come fu per Christo e Jeanne-Claude, addirittura gemelli.

Il loro sodalizio umano e professionale è stato come lanciare un sasso nello stagno dell'arte, non soltanto per alcune azioni della coppia - i Relation Works in cui provarono diverse forme di resistenza fisica, un bacio, i capelli annodati, urlarsi addosso, una freccia tesa nell'arco e puntato sul cuore di lei, Imponderabilia presentato per la prima volta durante la settimana della performance a Bologna nel '77, loro due in piedi ore e ore appoggiati agli stipiti della porta e il pubblico costretto a passare in mezzo ai corpi nudi - ma anche e soprattutto per l'intensità in cui vissero arte e vita come un tutt'uno.

Così, appunto, la separazione, The Lovers, novanta giorni di camminata solitaria, rincontrarsi e dirsi addio. Ma non per sempre. Durante The Artist is Present, Ulay torna senza preavviso davanti a Marina, la guarda fissa negli occhi e non dice nulla ma entrambi non riescono a trattenere le lacrime e stringersi le mani. Era il 2010 e Ulay era già malato di cancro, invecchiato ma ancora bello: l'incontro è uno dei momenti più intensi nella storia dell'arte recente, dimenticate persino le battaglie legali sullo sfruttamento dell'immagine.

C'è un Ulay dopo Marina, segnato dal recupero dei suoi primi lavori fotografici e, soprattutto, Project Cancer, esperimenti sul corpo sempre più segnato dal male.

Di recente alcune gallerie - Boers Li a New York e Richard Saltoun a Londra - hanno cominciato a riproporne il lavoro «solista» e nel novembre 2020 un'antologica allo Stedelijk Museum di Amsterdam forse riuscirà a riequilibrare le sorti e attribuire finalmente il posto che Ulay merita. Anche senza Marina.

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