Dagli arditi di Fiume al pitale: Keller, il pirata che fece la Storia

L'impresa di Fiume, la conquista della città che affaccia sul Carnaro e fu sogno rivoluzionario per 500 giorni non ebbe solo Gabriele d'Anninzio come protagonista: c'era anche Guido Keller asso dei cieli e spirito libero

Dagli arditi di Fiume al pitale: Keller, il pirata che fece la Storia

Non fu solo Gabriele d'Annunzio a "fare" Fiume: un sogno rivoluzionario che ancora fa eco dopo cento anni dall'impresa. Furono altri uomini straordinari, degni d'essere illustrati da Alan Moore, se li avesse conosciuti. Uno di loro era Guido Keller. Un pirata dei cieli.

Compagno di squadriglia di Baracca, l'asso degli assi, il nobile milanese di origini elvetiche arrivò a Fiume il 12 settembre del 1919 alla testa dei legionari comandati dal Vate, e ci rimase per tutti i cinquecento giorni di quella storica impresa. Creando un circolo di spiriti liberi che sarebbe sopravvissuto al tempo di quell'impresa: il Gruppo Yoga.

Esso era, o mirava ad essere, una "unione di spiriti liberi che miravano alla perfezione". Un circolo di ribelli, socialisti, arditi, avventurieri, dandy, sognatori, e visionari; che disquisivano di esoterismo, metafisica, criticando l'alienazione delle masse operaie che nell'epoca moderna erano destinate a diventare "inumane". Il loro simbolo, passato alla storia come presagio di morte, era la swastika. Non inclinata come quella del pittore dilettante austriaco che avrebbe conquistato il potere in Germania 13 anni dopo, ma l'antico simbolo del sole impiegato nell'antichità dalle più remote culture eurasiatiche.

Occhi vispi e nerissimi, capigliatura da tigre di Mompracem, Keller è uno dei grandi protagonisti intellettuali della città-stato creata da d'Annunzio. E da animo ribelle, non potrà fare altro che escogitare la "beffa del pitale" quando viene firmato il Trattato di Rapallo del novembre 1920. Così sale su un aeroplano e con la destrezza dell'asso che era stato nella Grande Guerra, vola su Roma. Lì lancia una pioggia di rose rosse sul Vaticano "per Frate Francesco" e sul Palazzo del Quirinale "alla Regina e al Popolo". Poi su Palazzo Montecitorio un pitale di ferro. Un messaggio emblematico.

Quando l'avventura di Fiume, la città del Sole dei giovani ribelli in uniforme che anticipano il '68 di quarant'anni e la vittoria di "ogni" battaglia dei diritti civili di quasi un secolo, Keller si trova perso e spaesato. Come tutti quei reduci che si trovano a disagio nella vita di tutti i giorni, dove manca l'azione e l'epica della cavalleria. Sprofonda, ma in realtà già sprofondava, nel vortice della cocaina, che nella festa mobile di Fiume era divenuta palliativo in voga.

Il suo declino personale e psicologico è evidente e va a caccia di avventure prima in Turchia, poi nell'America Latina, alla ricerca della leggendaria Eldorado. Sperpererà i suoi ultimi risparmi, quelli che aveva ereditato dalla sua ricca famiglia e quelli che si era guadagnato sul campo come aviatore asceta. Tornato in Italia vivrà sulle spalle degli amici, che nonostante il fallimento della sua folle spedizione e in parte della sua esistenza, non perderanno mai la stima per il superuomo che si cela in lui. Si stabilisce alla porte di Roma, a Ostia, di fronte al mare. Muore il 9 di novembre 1929.

Correndo in una Fiat di grossa cilindrata, diretto in Umbria per una scampagnata goliardica con degli amici, tra loro era anche l’eroe di guerra Vittorio Montiglio. Da allora le sue spoglie riposano accanto a quelle del Vate, nel Vittoriale degli Italiani. La sua anima indomabile non è dato saperlo.

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