La ricerca Molta politica e poche idee

Benvenuti al Mostrificio Italia. Diecimila esposizioni all'anno, diciassette al giorno censite (trentadue stimate), una ogni quaranticinque minuti. Tremila sedi disseminate nel Paese, una mostra (quasi) ogni cinquemila abitanti. Bene, uno potrebbe dire: segno di vitalità culturale della nazione. Peccato che quest'esposizione perenne che taglia lo stivale italico non sia coordinata, né al suo interno né sull'effettiva ricettività dei territori, e spesso costituisca uno spreco immotivato, se non uno stagno di proliferazione per il sottobosco politico locale. È la fotografia disincantata che emerge dalla ricerca Le mostre al tempo della crisi. Il sistema espositivo italiano negli anni 2009-2011, presentata a Florens, Forum internazionale dei Beni culturali e ambientali appena svoltosi a Firenze, e curata da Guido Guerzoni, ricercatore in Storia economica e docente alla Bocconi. Il quale butta giù le carte fin dal principio: la «proliferazione di eventi espositivi» nell'ultimo decennio «ha raggiunto livelli quasi grotteschi».
Una moltiplicazione compulsiva che significa livellamento qualitativo e perdita economica. Alla radice c'è la «tendenza imitativa che ha uniformato le scelte di molte amministrazioni», impegnate ad inseguirsi sulla realizzazione di «mostre blockbuster spesso dedicate ad autori e temi stranieri realizzate in fretta e furia», in uno scimmiottamento impari dei grandi eventi metropolitani. Quest'«insana competizione tra enti locali», spesso addirittura «afferenti al medesimo territorio», ha evidentemente una ratio politica, non culturale: sono «le diverse coloriture politiche delle giunte, le diverse scadenze elettorali, le diverse capacità di accedere ai finanziamenti privati». Comuni contro Province d'appartenenza contro risorse sparse sul territorio, in una segmentazione surreale per cui della politica culturale, alla fine, non ne è più nulla. Inseparabile compagno dell'esterofilia provinciale, è poi il campanilismo estremo. Per cui ci si spende per allestimenti locali giustificati «solo dalle permanenza in vita dei rispettivi autori». Del resto, «ogni assessore conosce un genius loci, ovviamente incompreso, se non dai parenti stretti», ed ogni assessore ha il suo serbatoio di voti, e di parentadi, da presidiare.


Il risultato finale dell'equazione è «una moltitudine di nanoeventi di brevissima durata», slegati tra loro, oscillanti tra il velleitarismo e la marginalità e spesso ripetuti, che impediscono qualunque vera «politica industriale del settore». Un Mostrificio, appunto.

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