Federico d'Annunzio, physique dell'intellettuale e ambizioni dell'imprenditore, romano di nascita e milanese di rinascita, è nipote legittimo del poeta-soldato Gabriele D'Annunzio.
Figlio di Gabriele jr. (1942-96, sposato a Patrizia dei conti dell'Acqua), a sua volta figlio di Ugo Veniero (1887-1945, marito di Luigia Bertelli), terzogenito del Vate, Federico d'Annunzio, 48 anni, tre matrimoni, tre figlie e un'azienda, è, oltre che uomo d'affari, uomo di Lettere. Che ben conosce vita e opere del celebre bisnonno: il Comandante, che nasceva proprio 150 anni fa, oggi.
Federico d'Annunzio, tanto di parla, ancora oggi, di fascismo, di Regime e di rapporti tra intellettuali e Potere. Ma quali furono le relazioni di Gabriele con il fascismo?
«In Gabriele è forte lo slancio patriottico, che appare già nei suoi scritti "abruzzesi" di inizio Novecento. Dopo la verità positiva, naturale, raccontata dai "fotografi" letterari dell'epoca, d'Annunzio intesse la trama necessaria per vestire la nobiltà d'Italia. In seguito gli scritti e i discorsi interventisti, e la conquista di Fiume, confermano questo percorso. Ed è "sopra" d'Annunzio che il Fascismo costruisce le proprie fondamenta. Egli tuttavia non partecipa, ma è costretto a seguire il sogno creato dalla sua stessa poesia. Come avviene spesso per la figura femminile amata e poi respinta con pari violenza, così d'Annunzio assiste al cambiamento dell'ideale in realtà: la volontà superiore trasformata in silenzio, le parole vane, così come le costruzioni e le conquiste fasciste. Il fascismo agli occhi di d'Annunzio è un fumetto, una sacca vuota che non lascia nulla di sé».
Perché un ragazzo dovrebbe leggere d'Annunzio, oggi?
«Per l'uso sconvolgente e sperimentale che d'Annunzio fa della parola. In ogni suo scritto, in ogni poesia, nel mezzo di una descrizione o di un passaggio apparentemente piano, appare, sempre, in modo improvviso e ineluttabile, un capolavoro totale: sequenze di immagini luminose, contrastate, definite, di ombre, di sensazioni, di scintille irraggiungibili descritte con assoluta esattezza, rese vive, strappate da momenti così intimi, da non sembrare neppure intuibili, neppure visibili. E ecco invece tutto davanti agli occhi...».
Esempi?
«L'incipit di Forse che sì, forse che no. Quanta enorme distanza dalle Novelle della Pescara. Siamo in pieno Futurismo, azione, energia, morte, ricerca pura della velocità che sposi il linguaggio, per menti che non temono la fatica, la costruzione che si miscela come un arcano, semplicissimo e terribilmente potente, e in cima alla salita, il segreto, custodito in tutti gli scritti successivi: il d'Annunzio notturno. Che cresce negli anni seguenti sino al "Libro dei libri" di Gabriele, quel Diario Segreto che è il fuoco della letteratura e dello scrivere inimitabile».
Non le pare di esagerare?
«Dopo d'Annunzio è quasi impossibile scrivere, ed è quasi impossibile leggere. Al confronto molta letteratura sembra vaga, diluita, amatoriale. Non vi è ricerca felice e dolorosa della purezza, della tecnica, della linea che demarca la verità dell'immagine dal compiacimento solitario e inutile. In d'Annunzio tutto è dono, la scrittura è un dono: che le luci del Poeta, le favolose faville, possano passare, per qualche imperscrutabile magia, nel cuore e negli occhi del lettore, perché il candore senza protesta, la forza idiota, e ogni accostamento sino ad allora impossibile, possano vivere nella luce vera della parola, che trasporta un dono inarrestabile e involontario. Per Gabriele tutto è poetico e involontario, la scrittura non è un gesto d'amore, è dono perché consapevole, ma la volontà in tutto ciò è inutile. La fatica, la lotta, è con se stessi, cercare la perfezione ad ogni costo, per rendere il momento assoluto, dandogli vita eterna».
Non capisco.
«Prima di Joyce, d'Annunzio crea metaforme, plasmi, melodie di pensieri ravvicinati e soprapposti, fino ad allora solo intuiti. Essi tra essi trovano nuovi splendori, crescono in bellezza e ricchezza e appaiono più onesti e più grandi. Si assiste alla espansione del pensiero alla potenza dei suoi moduli sovrapposti, le nuove concatenazioni sono piante e fiori d'altri mondi, eppure comprensibili, solo difficili da raggiungere. Ci vuole forza per raggiungere questi confini, ma il premio è una consapevolezza di sé (senza confini). Sembra una verità parallela, eppure è così: tanta la sperimentazione, l'intuizione favolosa, tanto grande il respiro del pensiero dentro di sé. Nasce un orgoglio e una intimità con se stessi che si credeva avere perduto, se non mai posseduto. La gioia si nasconde dietro una frase, e dopo questa si vorrebbe chiudere il libro ed aspettare che questa carezza si esaurisca.
Ma la lettura di d'Annunzio è sempre così entusiasmante?
«Tutto il contrario. Alcuni momenti sono insopportabili, uno spregio per lo spettatore trattato a orpello, a scafo imbrattato di catrame, utile solo a trasportare la propria gloria, ma vergognoso di bellezza e di sentimento. Nasce l'odio per tanta arroganza, tanta presunzione tremendamente onesta e supportata da una superiorità inavvicinabile, nella facondia, nella sensualità, nella esattezza della vista e delle rime. Odio, soltanto odio, e un desiderio di schianto, immediato, senza speranza né pietà, che si fotta l'Inclito! Leggere d'Annunzio è anche questo».
Quale percorso consiglia per conoscere d'Annunzio?
«Comincerei leggendo il Giovanni Episcopo, che esprime un d'Annunzio maturo, dopo il Piacere e un periodo di sospensione creativa. Il racconto, e la dedica a Matilde Serao, disvelano tutto d'Annunzio, e la poetica successiva: la volontà di "invenzione", la tecnica della parola, l'analisi cruda di se stesso attraverso il racconto, con un linguaggio insolitamente composto e misurato. Godibile, leggibile, l'Episcopo è un buon inizio per conoscere Gabriele».
Non si parte dal Piacere?
«No, il Piacere va giustificato, quasi perdonato, attraverso la lettura degli scritti successivi. È un libro che mostra la umana debolezza del giovane Gabriele alla ricerca del successo. Il libro si avviluppa intorno a un estetismo ancora formale e immaturo, stupefacente, che ritrova invece una forma lirica e autentica nel Fuoco. Il Piacere mostra una parte marginale, debole, della sensibilità poetica di d'Annunzio, che è invece soprattutto interessato all'Uomo, alla sua complessità e al suo dialogo interiore».
Poi?
«La prosa e la poesia di d'Annunzio sono l'opera di un infaticabile ed appassionato sperimentatore, sorretto da una vena poetica inesauribile. Il celebre vivere inimitabile fu l'immagine utile, lo strumento di Gabriele verso la scrittura, l'unico suo vero destino. Leggere d'Annunzio è una esperienza che concede piaceri e drammatiche esaltazioni (e fatiche), ed andrebbe alternata con letture di altri autori, per godere appieno per contrasto della scrittura inimitabile. Per continuare la lettura suggerisco il Trionfo della morte, che raccoglie tracce di tutta la scrittura precedente e successiva. Vi è l'Abruzzo crudele e giusto, la famiglia, la Femmina assoluta (infine, la Nemica), e la Morte, un argomento quasi sconosciuto ma dominante per comprendere la poesia di Gabriele».
Altri libri...
«L'Innocente, illuminato dal contrasto tra il titolo e il testo. Figlio non figlio, padre non padre, protagonista è la colpa e la hybris, ridiretta e esposta, un viaggio al fondo del dolore, nelle profondità del Male. Una confessione che lascia stupiti, per giorni, o per sempre. Siamo noi così? Un libro indimenticabile, un ferro rovente nel cuore. E poi il Fuoco, capolavoro sull'onestà inevitabile della lirica e della poesia, l'Alcyone, il manifesto dello scrivere inimitabile, ed il teatro, con La figlia di Iorio e Il ferro. Ma proprio Il ferro, il nuovo teatro sperimentale, annuncia il periodo più raffinato e dolce della scrittura di d'Annunzio. Fioriscono il Notturno ed il Libro Segreto, diari intimi che concedono ai lettori "a fior di pelle" emozioni non raccontabili, che stanno solo nello spazio tra il Poeta e il Sé. E nel Libro Segreto un d'Annunzio terribile, che falcia la propria scrittura, e inventa, appena prima di morire, una nuova letteratura. Quest'ultimo, senza dubbio, il mio preferito.
Chi sarebbe oggi d'Annunzio?
«Uno scrittore, ancor più inimitabile.
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