Sono Dexter e Dylan Dog i veri filosofi del presente

Il serial killer che impazza in tv racconta il lato oscuro dell'animo umano mentre l'eroe dei fumetti è pensoso e postmoderno. E la gente li capisce, altro che libri impegnati

Dexter
Dexter

Nell'introduzione all'ormai classico I miti greci, Robert Graves sostiene che la letteratura occidentale dal Cinquecento all'Ottocento non può essere compresa a fondo se non alla luce della mitologia omerica. Per la letteratura dal Novecento in poi, invece, sembra più utile una certa dimestichezza con gli eroi dei nuovi mezzi di comunicazione di massa, molto diversi da quelli classici. I modelli proposti dal cinema e dalla televisione, dal fumetto e da Internet non sono più «giovani e belli», ma hanno spesso una certa età e sono un po' oscuri, come l'ultimo film di Batman. L'eroe moderno, dark a partire addirittura dal nome, è ambiguo e, senza voler arrivare alla provocatoria ipotesi di Slavoj Zizek, che nel saggio Vivere alla fine dei tempi (Ponte alle Grazie) sostiene l'identità tra Batman e il sistema della menzogna, si può dire che l'eroe sia oggi spesso un vero e proprio antieroe, come nel caso di due personaggi culto, rispettivamente di una serie televisiva, Dexter, e di un fumetto, Dylan Dog.
«Mi chiamo Dexter e non so cosa sono. So soltanto che c'è qualcosa di oscuro in me e lo nascondo. Certamente non ne parlo, ma c'è, sempre, questo Passeggero Oscuro. È tutto ciò che ho». Così, parlando come al solito in prima persona, si presenta al pubblico Dexter, protagonista dell'omonima serie giunta alla settima stagione, in onda negli Usa dal 30 settembre. Impersonato da uno strepitoso Michael C. Hall, Dexter è un serial killer molto particolare perché uccide, sadicamente, solo altri serial killer, sfuggiti alla giustizia ordinaria. È difficile, per chi non ne ha mai visto una puntata, capire come si possa provare simpatia per un personaggio del genere, eppure la serie gode di straordinaria popolarità e registra un'altissima audience, tali da suscitare interesse anche in ambito accademico persino in Italia, dove se n'è occupata l'Università Cattolica con un saggio a più mani, Nel nome di Dexter. Un killer seriale tra letteratura e tv, pubblicato da Vita & Pensiero a cura di Vincenzo Cicero (pagg. 152, euro 15).
Abitante della metà oscura dello spirito, il nostro serial killer è certamente un «mostro», ma nel senso etimologico della parola, ossia un'entità formidabile e straordinaria, che viene a ricordarci l'infondatezza delle opinioni correnti sulla presunta razionalità della natura umana. La violenta irruzione dell'orrore nel quotidiano ci terrorizza e insieme ci affascina, perché ci mostra un aspetto dell'animo che dovrebbe restare oscuro, quell'inquietante «doppio» studiato da Otto Rank e divulgato da Freud. E infatti oscuro è il passeggero che guida, e a volte travolge, il timido ematologo della polizia di Miami il quale di notte si trasforma in efferato giustiziere, sempre ligio alle regole del «codice» impartitogli dal padre prima di morire. Ironico fin dal nome - dexiteròs in greco significa propizio - Dexter scompagina, con macabra ironia, tutte le nostre certezze, per svelarci la realtà in tutte le sue contraddizioni, compreso un tormentato rapporto con il trascendente, omaggiato dalla metà oscura con il raccapricciante rituale riservato a ogni vittima.
Tutto made in Italy, ed esportato negli Stati Uniti solo sotto forma di pellicola molto lontana dall'originale, è invece un altro antieroe, Dylan Dog, protagonista dell'omonima serie a fumetti della scuderia Bonelli partorita dalla fantasia - un po' malata, direbbe qualcuno - di Tiziano Sclavi, ormai 26 anni fa, che ha ispirato una nutrita bibliografia di riferimento, a cui si è aggiunto il recentissimo saggio Dylan Dog. Esistenza, orrore, filosofia, di Roberto Manzocco, pubblicato da Mimesis nella collana «Il caffè dei filosofi». Ispirato al personaggio letterario John Silence creato dall'anglosassone Algernon Blackwood, il «detective dell'occulto» nostrano è un nevrotico vegetariano ed ex-alcolista col nome di un poeta gallese (Dylan Thomas) e le fattezze di un'icona gay (Rupert Everett). Lontano dall'essere semplicemente un fumetto, Dylan Dog è diventato espressione di una filosofia, fondamentalmente nichilista e disincantata, che il suo creatore e i suoi collaboratori hanno costruito ed esposto nelle sue avventure sino a creare un universo parallelo, plausibile e coerente.


Dallo splatter che caratterizzava i primi albi, Dylan Dog è diventato un fumetto ironico e profondo, che attinge a piene mani all'immaginario colto e a quello popolare, da Nietzsche a Baudrillard passando per i fratelli Marx e i Miti di Cthulhu, in un frullato di citazioni e contaminazioni che, alla fine, trasmette un'idea del mondo, se non del tutto plausibile, sicuramente godibile. Del resto, in un'epoca in cui la filosofia seria diventa pop, è perfettamente legittimo e apprezzabile che un fumetto pop diventi filosofico.

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