Thomas Jefferson nacque il 13 aprile 1743 a Shadwell, nella contea di Albemarle, Virginia, in quella che era la frontiera americana. La madre, Jane Randolph, apparteneva ad uno dei casati più illustri della colonia e il padre, Peter, era discendente di una famiglia presente in Virginia fin dal 1619. Frequentò ottime scuole ed ebbe precettori d’eccezione, distinguendosi negli studi classici e accostandosi alle opere di Montesquieu, Polire, Voltaire, Rousseau, Diderot e anche a quelle dei maestri dell’Illuminismo scozzese, Francis Hutcheson, Thomas Reid e Adam Ferguson.
La sua carriera politica iniziò all’età di venticinque anni, quando fu eletto alla House of Burgesses. Pochi anni dopo, nel 1775, allorché la crisi con l’Inghilterra divenne acuta, fu nominato delegato al secondo Congresso Continentale. Legò la propria fama alla stesura della Declaration of independence, redatta a Filadelfia nel giugno 1776 e poi approvata dal Congresso il 4 luglio, con qualche modifica.
Il 7 maggio 1784 Jefferson fu nominato ambasciatore in Francia. Durante gli anni trascorsi in Europa diventò amico intimo di re e rivoluzionari, filosofi, artisti e scrittori. Il 28 febbraio 1787 partì per un lungo viaggio che l’avrebbe portato dapprima nella Francia meridionale, poi in Italia. Il 5 maggio 1789 assistette, insieme alla corte e al resto del corpo diplomatico, all’apertura dei lavori degli Stati Generali e nelle settimane successive osservò lo svolgersi di quella che sarebbe diventata la Rivoluzione francese.
Nel settembre dello stesso anno tornò in patria accettando l’incarico di Segretario di Stato e scontrandosi con colui che sarebbe stato il suo più fiero avversario politico: Alexander Hamilton, il potentissimo Segretario del Tesoro. Il conflitto riguardava l’istituzionalizzazione del potere e i diritti degli Stati, che per Hamilton erano mostruosità giuridiche, mentre secondo Jefferson erano l’unica vera barriera contro ogni forma di dispotismo.
Nell’estate del 1798 il Congresso approvò una serie di Leggi sugli stranieri e sulla sedizione, che permettevano al Presidente, anche in tempo di pace, di deportare o imprigionare cittadini stranieri ritenuti pericolosi per la sicurezza. Jefferson denunciò tali misure e fece approvare all’assemblea del Kentucky un documento di straordinaria importanza nella storia del pensiero federalista: le Kentucky Resolutions.
Nell’agosto del 1800 Jefferson iniziò la propria campagna presidenziale su di una piattaforma di federalismo autentico, avventura che si risolse in un trionfo per Jefferson e in una schiacciante maggioranza del suo partito al Congresso. Gli otto anni al potere di Jefferson furono contraddistinti da uno stile sobrio ed essenziale: abolì l’etichetta del ricevimento diplomatico e tentò di smantellare l’intero sistema fiscale e militare creato dai suoi avversari. La sua convinzione che il futuro economico, l’indipendenza e la libertà dell’America poggiassero sulla disponibilità di terre per i suoi cittadini, lo spinse all’acquisto della Louisiana francese nel 1803 (un vero affare che raddoppiò il territorio dell’Unione).
Nel 1804 fu rieletto con una larghissima maggioranza. Jefferson cercò con tutte le sue forze di tenere il Paese lontano dalle guerre napoleoniche e verso la metà del 1807 ricorse all’embargo totale delle esportazioni americane verso l’Europa. Questa misura (il suo più grave errore politico) ridusse di circa l’ottanta per cento il commercio americano. Il primo marzo del 1809 Jefferson, nel suo ultimo atto ufficiale, firmò la fine dell’embargo.
Tre giorni dopo, allo scadere del suo mandato, libero da ogni impegno pubblico, poté ritirarsi a Monticello. In quaranta anni di politica attiva non aveva tratto alcun vantaggio economico dalle sue cariche, anzi al momento di lasciare la Casa Bianca i suoi debiti erano enormi.
Negli anni del suo ritiro nella tenuta di Monticello furono migliaia le persone che lo interpellavano e Jefferson, fedele custode dello spirito rivoluzionario e perspicace dispensatore di consigli, rispondeva a tutti. L’istruzione era sempre stata la sua autentica fissazione e da vecchio istituì l’Università della Virginia. Reclutò sei professori europei e, in qualità di rettore, stilò programmi, decise gli orari delle lezioni e si occupò di molti dettagli amministrativi. In quel periodo egli ebbe la gradita sorpresa di poter riabbracciare Lafayette, che nel 1824 stava visitando l’America. Le icone di due rivoluzioni presenziarono insieme alla cerimonia inaugurale dell’Università.
Alle dodici e cinquanta del 4 luglio 1826, cinquantesimo anniversario dell’indipendenza americana, smise di respirare. La pietra tombale, che egli stesso aveva disegnato, recava questa iscrizione, destinata a diventare il più famoso epitaffio americano:
Qui giace
Thomas Jefferson,
autore della Dichiarazione d’indipendenza americana,
large;">dello statuto virginiano sulla libertà religiosa,
e padre dell’Università della Virginia.
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