Tiziano, la pittura di un lungo rimpianto

Alle Gallerie dell'Accademia di Venezia le ultime opere intrise di malinconia. Nell'estremo periodo del pittore il disegno cede alla forza del colore in uno stile pre-ompressionista

Tiziano, la pittura di un lungo rimpianto

Venezia - Cupa, densa, funerea, la grande Pietà delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, è l’ultima opera di Tiziano, il suo testamento. Il pittore l’aveva cominciata destinandola alla cappella di Cristo nella chiesa dei Frari, dove voleva essere sepolto. Ma, colpito dalla peste il 27 agosto 1576, l’aveva lasciata incompiuta. A finirla era stato Jacopo Palma, come recita l’iscrizione sul gradino sotto Cristo. Nella tela Cristo morto è sorretto dalla madre, tra la Maddalena a sinistra e San Girolamo in ginocchio a destra. Nel santo si cela l’autoritratto di Tiziano, che con questa tavola votiva implorava la Vergine di salvarlo dalla peste, che invece l’avrebbe ucciso. Il colore sfuso, dato a piccoli tocchi di luce e ombra, riflette l’ultimo stile del pittore. Quello dei violenti colpi di pennello inzuppato di tinta, plasmata sulla tela con le dita, lasciata seccare contro il muro e ritoccata più volte nel tempo. Un linguaggio moderno, quasi impressionistico. A questo periodo, recentemente rivalutato, è dedicata la mostra in corso alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, già passata per il Kunsthistorisches Museum di Vienna: ventotto capolavori di Tiziano dal 1545 alla morte. Ritratti, dipinti sacri e profani, prestati da vari musei europei ed assicurati per un miliardo di euro.

Tra i dipinti sacri, Ecce Homo, santi, Madonne, tutto il repertorio religioso, presentato da un Tiziano inquieto, moderatamente dissenziente, non papista né luterano. Dai grandi teleri dei primi anni Quaranta, come la scena con l’Ecce Homo del 1543 al San Sebastiano degli ultimi anni, arrivato dall’Ermitage di San Pietroburgo, si assiste all’evoluzione della pittura di Tiziano, verso una estrema libertà pittorica. La figura di San Sebastiano, intriso di erotismo e colpito dalla frecce in un tenebroso paesaggio, è abbozzata con luce e colore, quasi non finita, ed è questo il suo fascino.

Come ritrattista Tiziano era noto in tutta l’Europa del tempo. Pietro Aretino, amico del pittore sin dal 1527, poteva vantare numerosi ritratti fatti da Tiziano, tra cui quello compiuto nell’aprile 1545 e destinato a Cosimo I de’ Medici, granduca di Toscana. Sguardo torvo sopra una folta barba, corpo possente ammantato di velluto rosso, capelli tinti, guanto per nascondere una cicatrice alla mano, collana d’oro, l’Aretino appare più simile a un potente signore che a un umanista. Il ritratto doveva rappresentare la sua promozione presso il granduca di Firenze. L’Aretino, fiero del ritratto che a suo dire «respirava», lamentava però (ingiustamente) la mancanza di luminosità dei drappi, che rendeva il ritratto «più abbozzato che fornito». L’immagine maestosa è studiata in ogni piega del carattere come le altre che sfilano in mostra da Paolo III all’Elettore di Sassonia, dal doge Andrea Gritti all’esperto d’arte Jacopo Strada.

Per tutta la vita Tiziano dipinge nudi femminili e scene mitologiche. Le sue Veneri, Danae, Lucrezie, morbide e sensuali, ricercate dalla committenza, subiscono la stessa sorte degli altri soggetti pittorici. Tendono infatti ad una sempre maggiore sfaldatura del colore e ad una più intensa drammaticità. La Danae del 1550-1553, proveniente dal Prado di Madrid, destinata a Filippo II, pur nel suo colore sfuso, rivela ancora una certa compattezza. Ma la Lucrezia, pronta ad essere colpita dal coltello di Sisto Tarquinio, nel dipinto del 1570-1575, della Gemäldegalerie di Vienna, appare ormai come un’immagine sfuocata, quasi da scapigliatura milanese. Bellissima, del resto. I gesti sono violenti, la pittura creata con grosse e decise pennellate.

Tra le rarità della mostra, la poetica tela con Ninfa e pastore, giunta dallo stesso museo viennese, fresca di restauro. Rappresenta un interessante scavo psicologico nella figura della ninfa, che con le sue spregiudicate nudità ha come modello la Venere di Dresda, realizzata da Giorgione e Tiziano. Anche l’atmosfera creata dallo scuro paesaggio ha toni giorgioneschi.

Ma è nel Supplizio di Marsia, arrivato da Kromeriz, nella Repubblica Ceca, che si apprezza pienamente la trasformazione stilistica del vecchio Tiziano. Una scena horror in cui il povero Marsia viene scorticato vivo, tra satiri e divinità. I colpi di colore, agitati e frenetici, saranno tipici degli impressionisti, tre secoli dopo.

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