D’Alema, il tessitore di trame resta impigliato nella sua rete

Dalla leadership del partito sottratta a Natta e Occhetto, fino alle dimissioni di Veltroni, l’ex premier ha sempre cospirato. Con il dono di «prevedere» le notizie delle procure. Nella «sua» Puglia il Pd è in mano ai magistrati: dal sindaco di Bari Emiliano ai senatori Maritati e Carofiglio

D’Alema, il tessitore di trame resta impigliato nella sua rete

Roma - Sì, le «scosse». Quelle che per D’Alema «a volte sono imprevedibili». Forse era imprevedibile anche la scossa che prostrò il cuore di Natta nell’88, però Massimino fu lesto a coglierne l’opportunità con Akel per defenestrare il segretario. Da quattro anni i due aspettavano, dalla cospirazione nel garage del Bottegone dopo i funerali di Berlinguer. Quella volta il golpe non era riuscito, e adesso non volevano mancare le idi di marzo. D’Alema aiutò Occhetto a spacciare il segretario per moribondo, irrecuperabile, e ne ebbe in premio l’organizzazione del partito. Natta si riprese presto, era offeso a morte, ma troppo tardi.


È un gran tessitore di reti, Baffino. Pesci però, ne prende pochi; e spesso a restare impigliato nelle sue trame è lui stesso. Ora è infuriato, va minacciando: «Se qualcuno ha il coraggio di dire che manovro le inchieste lo denuncio, perché è un mascalzone e un bugiardo». Grida allo «scandalo». «Cosa c’entro io con queste storie di veline e di feste» domanda stupefatto. Giura che domenica, rispondendo dalla Puglia all’Annunziata in tv, parlava di «scosse politiche». Pure Franceschini scende in suo soccorso ammaestrando che «tutti quelli che lo hanno ascoltato hanno capito perfettamente che quando parlava di scosse si riferiva a fatti politici». E lui, con candore lamenta: «Quello a cui stiamo assistendo è gravissimo, intimidatorio. Tutto diventa un complotto e il merito scompare».
Avvertire D’Alema che nessuno ancora, va dicendo che lui «manovra le inchieste». In molti però, dicono che probabilmente lui «era a conoscenza» dell’inchiesta sbattuta in prima pagina ieri dal Corrierone.

In primo luogo lo stesso giornale, scrivendo che «non si esclude che possa essere proprio questa la “scossa al governo” della quale ha parlato domenica scorsa Massimo D’Alema per invitare l’opposizione “a tenersi pronta”». Il ministro Fitto poi, lo va domandando da lunedì: «Cosa intende D’Alema per “imprevedibili scosse” che dovrebbero colpire il presidente Berlusconi da qui a breve? A quali informazioni inaccessibili ai comuni mortali, ha avuto accesso D’Alema?». Capezzone, Gasparri, Verdini, tutti ora ironizzano sulla «preveggenza» dalemiana, ma Fitto ancor prima che divenisse pubblica l’inchiesta sui fratelli Tarantini e la “testimonianza” di Patrizia, interrogava provocatoriamente: «Come mai queste doti di preveggenza si manifestano proprio in Puglia? Avrà forse ricominciato a frequentare quegli ambienti baresi in cui, a partire dai primi anni ’90, D’Alema ha improvvisamente (ma provvidenzialmente anche per lui) garantito più di una carriera politica a chi faceva tutt’altro mestiere?

Chi «faceva tutt’altro mestiere»? Da Divella ad Emiliano, un sacco di esponenti della cosidetta “società civile” han portato “sangue fresco” alla sinistra pugliese. Ma è indubitabile che quella regione, feudo politico del “deputato di Gallipoli”, registra un record di toghe nelle file dei Ds prima e del Pd ora. Michele Emiliano, sindaco uscente e rientrante di Bari, era magistrato di spicco, nella stessa Puglia oltre tutto, ed ora è pure segretario regionale del Pd. Alberto Maritati, senatore e due volte sottosegretario, con D’Alema e con l’ultimo Prodi, era giudice istruttore a Bari e poi procuratore aggiunto della Dna. Gianrico Carofiglio, il Camilleri del Tavoliere e senatore del Pd, sino all’anno scorso era magistrato della Dia a Bari.
Sbagliereste però, ad immaginare le “toghe rosse” come la moderna “cinghia di trasmissione”. Semmai è il contrario, da tempo son loro a dettar la linea: basta ricordare Mani pulite, oltre al ruolo della Finocchiaro e di Violante, e le icone di Caselli, Borrelli, Boccassini e via magistrando. Ma in definitiva, se è vero che Veltroni ha consegnato le redini della sinistra a Di Pietro, è stato D’Alema a farlo senatore del Mugello.

Che i magistrati tra loro parlino, e poi parlino anche coi colleghi prestati alla politica, e questi parlino coi politici “puri” è fisiologico, quasi naturale. Violante perse la presidenza dell’Antimafia per essersi lasciato sfuggire con Minzolini che la procura di Catania stava per incriminare Dell’Utri, ma non lo aveva saputo certamente da una zingara. Meno fisiologico e normale, è che un politico non sappia tenersi un cecio in bocca, come si dice a Roma.

Va be’, D’Alema però lamenta che tutto diventa complotto e il merito scompare. Certo, c’è quella vecchia storia di come fu fatto fuori Natta. Ma qualcuno oserebbe sospettare che nel ’91, quando poi il Pci si tramutava in Pds e Occhetto sorprendentemente non trovò il quorum per fare il segretario, c’era una cospirazione dalemiana, forse orchestrata dal fido Velardi? E nel ’98, quando cadde Prodi e lui ne prese il posto a Palazzo Chigi, non crederete mica ad una congiura, semmai con lo zampino di Cossiga. Marini in corsa per il Quirinale del resto, s’era azzoppato da solo, mica perché D’Alema lo aveva mollato accordandosi in segreto con Berlusconi per Ciampi.

E pure Veltroni adesso, ha perso la segreteria del Pd nonostante D’Alema lavorasse lealmente al suo fianco, stava con lui come ora sta con Franceschini, mica con Bersani: chi l’ha detto che rema contro? No, il merito di D’Alema va riconosciuto. Anche se, come rimprovera Marcenaro, ha dimenticato l’antico insegnamento delle Frattocchie sui complotti: che prima si fanno e poi, eventualmente, se ne parla».

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