Dai No Cav insulti a Papa e Napolitano

Le sparate di Travaglio, Guzzanti e Grillo rovinano la festa a Di Pietro che alla fine è costretto a scusarsi: "Mi dissocio, attacchi fuori tema". Berlusconi: "Al Paese servono fatti, non manifestazioni". Mastella: "Emergenza democratica? Non scherziamo"

Dai No Cav insulti a Papa e Napolitano

Roma - Giro giro in tondo, gira gira il mondo. Ma poi si ritrovano lì sempre gli stessi, i quattro gatti che non si perdono di vista. È la giostra in servizio permanente effettivo, quella che si rivede a piazza Navona per il No-Cav day. Alla Befana c’è quella equestre, con i bei cavallini ottocenteschi di legno, ma anche questa qui messa in piedi da Antonio Di Pietro non è da meno, e fa lo stesso effetto del déjà vu e déjà entendu dei cavallini. Riempiono la piazza per la metà, spodestando saltimbanchi e turisti, e saranno al massimo 8mila, occhio e croce. Ovviamente gli organizzatori parlano di trionfo: siamo 30mila, dicono dal palco, No, oltre 40mila. Altroché, 50mila. Anzi, centomila! «E che mi metto a fare la conta?», strizza l’occhio il furbone Molisano: giochino riuscito, rien ne va plus.

Prevale la nostalgia del bel tempo andato. Girano facce e improperi di sempre. Furio Colombo con l’immancabile New York Times sotto il braccio, ma nessuno lo calcola, tanto che l’ex direttore dell’Unità finirà con il dirsi «indignato» per gli attacchi che Beppe Grillo e Marco Travaglio rivolgeranno al presidente Napolitano-Morfeo e a Veltroni. Nessuno fa caso, invece, alle dolci parole che Sabina Guzzanti rivolge al Papa: «Quando tra vent’anni sarà morto, starà dove deve stare, all’inferno tormentato da diavoloni frocioni attivissimi...». Solo al termine Di Pietro si dissocerà («sono attacchi fuori tema») e Veltroni lo giudicherà «intollerabile». Travaglio, regista occulto, prepara il suo pezzo di repertorio seduto davanti al frigo-bar e Paolo Flores D’Arcais lo consulta gongolante. È il girotondo del «No Cav day», ma ce l’hanno a morte anche con quello che Grillo, in collegamento telefonico, chiama «Topo Gigio-Veltroni». «Berlusconi aveva un piede nella fossa ma la sinistra italiana si è data questa missione: resuscitarlo», ripete Travaglio prima di diffondersi sul tema risaputo, ovvero il ritorno del Caimano-Cavaliere (che campeggia su alcune magliette). «Con il panama sembra Al Capone - dice Travaglio -. È come la mantide religiosa, con chi dell’opposizione lo cerca per il dialogo lui ci fa una scopatina e poi lo uccide ». Alla stregua di Travaglio, principe di questa retorica sempliciotta da piazza contadina, ogni attore ripete la sua parte. Di Pietro va a nozze sulla «nuova P2 che poi sono sempre gli stessi» e il lodo Alfano «con il quale le alte cariche possono uccidere e stuprare bambini...».

Gira e rigira, si resta sempre fermi lì. Se non fosse che la piazza ha richiamato pure l’intero quartier generale della sinistra che non c’è più. Orfani e traumatizzati, non si lasciano scappare l’occasione Oliviero Diliberto e Paolo Ferrero, Giovanni Russo Spena e Angelo Bonelli, Achille Occhetto e Claudio Fava. Come anime perdute, reggono il moccolo all’ex Pm. «Resto il garantista di sempre - si difende Russo Spena -, ma sono qui per la Costituzione e per i rom. Secondo me non c’è il rischio di legittimare Di Pietro unico leader dell’opposizione». L’ex ministro Ferrero coglie il pericolo, ma ribalta: «Proprio per questo dovevamo esserci, per non lasciare la piazza a lui». «È una piazza di sinistra, non ci sono dubbi - sostiene invece Fava -. Ma era importante esserci, proprio per contaminare e riprendere soggettività...».

Sarà, però le bandiere dipietriste sovrastano tutte le altre, le numerose di Prc, Pdci e persino del partito marxista dei lavoratori. Solo un gruppetto di sopravvissuti (sotto forse c’è Arturo Parisi) regge qualche vituperato drappo del Pd. Dai cartelli si capisce che la «contaminazione» è arma a doppio taglio, e si passa dai «Partigiani del Mugello» a «Ora e sempre resistenza/all’indecenza». Da «famolo contento/ aboliamo la giustizia» a «Proletari per la giustizia». Anime perdute e ghermite dal furbo Molisano, come i due lavoratori che recano un paniere vuoto: «Braccia rubate all’agricoltura», si autodefiniscono.

E quando finalmente sul palco arriva una notizia, una mamma che ha perduto il bimbo nella calca, la gente dà duplice versione: «L’hanno rapito! No, se lo so’ magnato i communisti!». Maledette contaminazioni di piazza, non si sa se chiamare i questurini o Berlusconi.

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