Dall’alba al tramonto la parabola della «vita»

Il motto del magazine: «Vedere la vita, vedere il mondo». Ma negli ultimi anni il mito della testata è in declino

Life è triste oggi. Quando la vita ricomincia senz’anima è sempre così. Lo tengono in vita, come se fosse attaccato al respiratore artificiale. Il suo tempo è finito nel 2000, quando ha chiuso Life vera, la rivista che ha cambiato il mondo, che ha l’ha fatto vedere: uno scatto e via dentro le case degli americani. E da quelle alle altre. Europa e Asia. Africa e Oceania. «Una foto bella è impossibile da dimenticare», diceva Richard Newton. Life ce le aveva tutte: il bacio di Times Square dopo la guerra; Roosvelt, Stalin e Churcill a Yalta; gli spettatori al cinema con gli occhiali 3D, i fratelli Kennedy insieme per l’ultima volta, Marilyn, Neil Armstrong sulla Luna, i Beatles. Life raccontava per immagini.
Henry Luce rifondò nel 1936 questo magazine con un motto in testa: «Vedere la vita, vedere il mondo». È stato così per quarant’anni: Robert Capa, Henry Cartier Bresson, W. Eugene Smith, Francis Miller. Oggi non potrebbe funzionare più. La tv, dicono. Colpa della tv. Il primo crollo Life lo ha avuto nel 1972, quando la Time-Inc. volle provare a trasformarlo in settimanale. Dopo sei anni tutto come prima: mensile.
Così fino al 2000, quando la proprietà ha annunciato la fine delle pubblicazioni nonostante 1,5 milioni di copie vendute ogni volta. Poi nel 2004 l’invenzione: Life è tornato mozzato. Con tutta la storia, le foto, il mondo fatto vedere l’hanno fatto diventare un inserto. Lo fanno in 23 per infilarlo come companatico nel panino di cinquanta quotidiani d’America.

La proprietà si difende: «Ma sono i quotidiani più importanti degli Stati Uniti, dal Chicago Tribune, al Los Angeles Times». Sanno che non è lo stesso. Se metti Life dentro il New York Post può anche vendere, ma è come se non esistesse. Non c’entra nulla. Allora tanto vale chiuderlo.

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