Dalle urne iraniane smacco per Ahmadinejad

Non solo a Teheran ma in tutto il Paese i conteggi finali confermano la sconfitta dei radicali a vantaggio di Rafsanjani

È una disfatta. Un’umiliazione tra le mura di casa. Uno sberleffo sullo stesso trampolino da cui spiccò il balzo verso la presidenza. Lo scrutino per il consiglio comunale di Teheran conferma, dopo giorni di snervanti conteggi, l’impietosa sconfitta degli alleati dell’ex sindaco Mahmoud Ahmadinejad. Lo smacco non si ferma alla capitale. Nel resto del Paese la lista del «Gradevole profumo del servizio» si dimostra, nonostante il nome poetico scelto dai fedelissimi del presidente, una formazione assai poco attraente. In città importanti come Shiraz, Bandar Abbas, Sari, Zanjan, Rasht, Ilam, Sanandaj e Kerman la «fragranza» presidenziale non riesce a garantire un solo seggio alla formazione radicale. Le poltrone conquistate a Teheran non sono di grande consolazione. Parvin, la candidata sorella del presidente non riesce, nonostante il nome illustre, a piazzarsi più avanti dell’ottavo posto. La sconfitta dei radicali lascia posto ai conservatori moderati di Mohammad-Bagher Qalibaf, un ex capo della polizia capace anche da sindaco di conquistare il favore popolare. I suoi uomini controllano ben otto poltrone, mentre altre quattro vanno a un gruppo di riformatori moderati.
Al di là del successo personale di Qalibaf ciò che più conta è il rifiuto delle tesi radicali propugnate dal presidente e dai suoi sostenitori. La tendenza potrebbe spingere la suprema guida Alì Khamenei, grande arbitro dello scontro politico ai vertici della Repubblica Islamica, a ridimensionare il sostegno accordato al presidente e alle gerarchie militari che lo sostengono. Anche le votazioni per l’Assemblea degli Esperti, svoltesi contestualmente a quelle locali, hanno, del resto, segnato l’affermazione di Hashemi Rafsanjani, l’ex presidente presentatosi alle elezioni del 2005 con un programma che prevedeva ampie aperture politiche economiche all’Occidente e agli Stati Uniti.
La sconfitta elettorale non sembra invece ridimensionare i toni e le posizioni del presidente. Alla vigilia di una sessione del Consiglio di Sicurezza Nazioni Unite in cui potrebbe venir approvato il primo pacchetto di sanzioni contro la Repubblica Islamica, Mahmoud Ahmadinejad attacca la Casa Bianca e rilancia la sfida nucleare. Il presidente George W. Bush colpevole di averlo definito poco in sintonia con il resto del mondo è il primo obbiettivo degli strali di Ahmadinejad. «Salta fuori dal tuo palazzo di vetro e cammina tra la gente, capirai quanto sei isolato non solo nel resto del mondo, ma anche nel tuo Paese», dice il presidente iraniano all’inquilino della Casa Bianca. Dopo aver ribadito le intenzioni pacifiche del suo Paese in campo nucleare Ahmadinejad riafferma la vittoria iraniana. «Grazie a Dio i nemici non sono riusciti a fare nulla contro l’Iran e non ci riusciranno neppure in futuro», ripete il presidente descrivendo la sfida nucleare iraniana come «fonte d’ispirazione» per altre nazioni. «L’indipendenza, la prosperità e il progresso dell’Iran diventeranno presto un esempio per molti altri Paesi e indurranno anche loro ad assicurarsi questo potere», assicura il presidente.


L’approssimarsi del voto sulle sanzioni al Consiglio di Sicurezza ha invece spinto il ministro degli esteri Manoucher Mottaki a parlare della possibilità di «costruire un ponte capace di eliminare le ambiguità e garantire all’Iran i suoi diritti sull’energia nucleare». Ma visti i risultati dei precedenti inviti al dialogo seguiti da un’immediata chiusura iraniana l’offerta del ministro Mottaki non sembra, stavolta, aver molte speranze di venir accettata.

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