D'Angelo e la guerra senza Resistenza

Risalì col suo battaglione la penisola, tallonando i tedeschi. Poi entrò nel Pci e portò in Italia "Dottor Zivago"

D'Angelo e la guerra senza Resistenza

In Dicembre 1943, si comincia da Monte Lungo (Francesco Ciolfi editore, pagg. 126, euro 13) Sergio D'Angelo narra, verrebbe fatto di scrivere, un'altra Resistenza. Una definizione che tuttavia traviserebbe il contenuto di queste pagine. D'Angelo - studente romano classe 1922 chiamato alle armi e assegnato come allievo sergente e poi allievo ufficiale a un reggimento di fanteria - non ha fatto Resistenza. È stato prima alleato dei tedeschi, poi ha combattuto i tedeschi, ma sempre inquadrato in unità regolari delle forze armate italiane. La sorte ha voluto infatti che il ragazzo poco più che ventenne finisse, con il suo reparto, nel Brindisino, ossia in quella parte del suolo nazionale che dopo l'8 settembre non passò sotto il dominio tedesco e nemmeno passò subito sotto il controllo degli angloamericani. Quella parte cioè alla quale puntò, facendo rotta su Brindisi, la corvetta Baionetta che aveva raccattato la famiglia reale, il capo del governo Badoglio e una gran numero di alti ufficiali fuggiaschi senza truppa. Era santuario della routine in stellette, il Brindisino, mentre altrove la guerra infuriava in tutta la sua violenza. Dopo il 25 luglio e la caduta del fascismo s'era levato dai soldati un grido possente: «Siam congedà, a casa si va».

Non andarono a casa, i soldati del 58esimo fanteria, il 25 luglio, e non ci andarono neppure l'8 settembre. Ma a Mesagne, dove il 58esimo fanteria si era acquartierato, i problemi erano i pidocchi e un rancio sempre più scarso. Faticoso ozio fino al 15 novembre quando il battaglione di Sergio D'Angelo fu inquadrato nel neonato raggruppamento italiano Curtatone e Montanara, nucleo iniziale d'una unità sottoposta ad altri comandi, ma che si batterà bene: anche se il battesimo del fuoco a Montelungo sarà coraggioso ma inizialmente poco brillante.

Agli allievi del Curtatone e Montanara viene proposta un'alternativa: o la permanenza nei corsi di istruzione o il trasferimento in unità combattenti. D'Angelo si pronuncia per le unità combattenti e così dà avvio a una lunga risalita della penisola - tallonando i tedeschi in ritirata - con scontri a fuoco anche micidiali. I tedeschi sono ormai il nemico. I marocchini del generale francese Juin sono l'incubo. «Incontro su uno sperone roccioso, che domina la piana sottostante, un prete piuttosto giovane armato di fucile. “Che fate padre?” gli domando. “La guardia. Mi tocca farla da quando a valle si sono accampati i marocchini”». La narrazione prosegue, nutrita di episodi apparentemente minori ma rivelatori. La storia minore di un'altra Italia che non si dà l'aria di averla vinta lei la guerra, che sa di averla persa e vuole con tenacia ardimentosa riscattarsi.

Qui finiscono le memorie di gioventù d'un soldato tra i tanti. Ma si aprono altre e affascinanti pagine d'una vita intensa. Durante una licenza del 1944 Sergio D'Angelo aveva aderito al Pci, e ristabilita la normalità era diventato redattore di Rinascita , pubblicazione comunista raffinata, aveva diretto l'omonima libreria di Botteghe Oscure, aveva sposato una compagna di partito, si era trasferito nell'Urss e nel 1956 lavorava per Radio Mosca. Un perfetto itinerario da apparatchik , interrotto da un elemento casuale. L'editore Giangiacomo Feltrinelli, miliardario e velleitariamente dinamitardo - è morto infatti mentre poneva una carica esplosiva su un traliccio - gli aveva dato incarico di scovare qualche autore russo. E lui s'era messo in contatto con Boris Pasternak che aveva nel cassetto il manoscritto d'un capolavoro, Il dottor Zivago . D'Angelo si fece consegnare quel testo con l'intesa di consegnarlo a Feltrinelli. Questa fuga incontrollata all'estero d'un testo che aveva implicazioni politiche infuriò il Cremlino che impegnò tutto il suo potere per impedire l'istituzione di un premio letterario intitolato a Pasternak.

La vicenda d'intimidazione, di settarietà e d'oscurantismo è stata da D'Angelo raccontata in un libro, Il caso Pasternak , che m'inviò pregandomi di tornare sull'argomento. Il che feci volentieri anche perché al Giornale collaborava Valerio Riva, che di Feltrinelli era stato strettissimo collaboratore, e che ne aveva conosciuto a fondo le mattane rivoluzionarie e le intuizioni geniali. In Feltrinelli la generosità per la Causa s'intrecciava alla tirchieria con gli autori. In quella vicenda infuocata Feltrinelli dovette vedersela con la donna amata da Pasternak, Olga Ivinskaia. Che chiedeva qualcosa dei milionari diritti d'autore.

Finché durante una telefonata, parola di Riva che purtroppo non c'è più, il miliardario sbottò: «Ma come osa lei che ha il privilegio di vivere nella società socialista porre questi problemi a me che gemo sotto il giogo del capitalismo?».

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