Il declino non c’è, l’industria va di corsa

Rodolfo Parietti

da Milano

L’industria italiana batte due colpi. E non sono le campane del declino - a torto o a ragione - spesso sentite risuonare anche nei consessi internazionali, ma battiti di una rinnovata vitalità. Vengono da due tra gli indicatori-chiave dello stato di salute delle imprese, il fatturato e gli ordini. Il primo rimanda direttamente ai ricavi, la fonte principale dei profitti finali; l’altro anticipa la tendenza nel breve periodo dei livelli di produzione e dà dunque la misura di come le aziende si muoveranno nei prossimi mesi. Ebbene, secondo i dati diffusi ieri dall’Istat, nel mese di febbraio il fatturato è cresciuto dell’8,1% su base annua e dell’1,9% rispetto a gennaio, mentre gli ordinativi hanno messo a segno un robusto più 14,1% nei confronti dello stesso periodo del 2005 e del 4,3% in un solo mese, il miglior risultato dal dicembre del 2000.
Si tratta di incrementi di tutto rispetto, tali da poter parlare di una ripresa effettiva e non transitoria, anche se sul futuro resta l’ombra dei rincari petroliferi. Finora, tuttavia, la crescita globale dell’economia, più volte richiamata dal presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, come una delle molle (l’altra è lo slancio ritrovato degli investimenti) in grado di spingere Eurolandia, ha recitato un ruolo fondamentale. Sul buon andamento del giro d’affari ha infatti pesato proprio la componente internazionale, aumentata del 12,7% in un anno. Né va trascurato il contributo offerto dal deprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro. Dal picco di 1,36 toccato nel dicembre 2004, la moneta unica ha perso circa il 12% e reso quindi più competitivi i nostri prodotti sui mercati internazionali. L’Ucimu, l’associazione che raggruppa i produttori di macchine utensili, segnala ad esempio un aumento degli ordini del 17% nel primo trimestre 2006 proprio grazie alle richieste provenienti da oltre confine.
La svalutazione monetaria non basta però quando si deve fare i conti con le esportazioni sotto costo della Cina: due settori di punta del made in Italy come il tessile e l’abbigliamento sono infatti gli unici ad aver accusato una contrazione del fatturato (meno 0,8%). È una situazione di criticità che solleva ancora una volta il problema di individuare misure efficaci, in grado di contrastare le forme di dumping. Da questo punto di vista, i recenti dazi imposti sulle calzature cinesi da parte dell’Unione europea non sembrano la soluzione ideale, essendo le sanzioni stabilite di natura progressiva e di scarso peso economico.
Gira invece a mille, e non potrebbe essere diversamente, l’industria della raffinazione (più 31,4%), ma si muovono con decisione al rialzo anche i ricavi della produzione di mezzi di trasporto (più 11,1%), in buona misura grazie al momento positivo che sta attraversando la Fiat dopo il lungo periodo della crisi. Anche se la domanda internazionale resta l’elemento principale di traino della ripresa industriale italiana, il mese di febbraio ha portato una novità significativa rispetto ai mesi precedenti: un aumento, pari al 15,3%, degli ordinativi nazionali. Un segnale da non sottovalutare, perché potrebbe essere la spia di un recupero della domanda interna, finora rimasta l’anello debole della ripresa.

E se i consumi dovessero effettivamente risollevarsi, i benefici sulla crescita del Prodotto interno lordo potrebbero non tardare a manifestarsi. Gli analisti sono comunque convinti che nel 2006 l’espansione italiana continuerà a dipendere soprattutto dal mercato estero.

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