Il decreto strappa applausi bipartisan

da Roma

Cinque articoli entrati in vigore ieri, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Il decreto n. 259 (del 22/09/06) sulle intercettazioni è accompagnato dal plauso generale dei politici e qualche mugugno di magistrati e giornalisti. «Ha visto la forte unità del governo - ribadisce il ministro Nicolais - e contemporaneamente una forte sensibilità nell’opposizione... Mai nella storia si poteva essere così rapidi con un decreto legge ad horas». Segnali sottolineati dal presidente della Camera, Fausto Bertinotti: «Mi pare un messaggio importante, in una condizione dello scontro politico così aspro e aperto, la comune attenzione per mettere a ripari i cittadini comuni e anche la politica da incursioni, realizzabili attraverso frasi, del tutto illegali». Le intercettazioni «ledono minacciosamente» la privacy e anche il semplice diritto dei cittadini di «vivere liberamente la loro vita senza un’occulta e nascosta persecuzione»: ecco perché, ha aggiunto Bertinotti, anche se il decreto «non risolve, ma certo contribuisce a risolvere il problema», è una «buona notizia» e un «elemento di civiltà giuridica» il suo varo in clima bipartisan.
«È un bene che anche l’opposizione condivida - ha detto anche il ministro Francesco Rutelli -, il governo ha fermato il rischio di ulteriori orribili manovre sulla pelle di persone intercettate in modo abusivo». Una «grave questione morale» secondo il leader dell’Udc, Pierferdinando Casini. Mentre i socialisti di destra e di sinistra (Chiara Moroni e Roberto Villetti) si trovano per una volta d’accordo a sollecitare il varo di una commissione d’inchiesta. Il segretario di Rifondazione, Franco Giordano, è soddisfatto che il governo abbia «bloccato sul nascere la stagione dei ricatti, un verminaio senza fine». Giordano non esita a parlare di «allarme democratico sulla natura dei poteri e sulla trasparenza»: l’intera vicenda Telecom-intercettazioni, spiega, «è emblematica di come sono state portate avanti le privatizzazioni: in quel bene comune che sono le telecomunicazioni è nato, cresciuto e vegetato un sistema occulto e per certi versi criminale di spionaggio della società italiana...».
Allarmato anche il ministro Antonio Di Pietro: «Quello che ha commesso questo nuovo raggruppamento di potere è molto peggio della P2 perché ha strutture, mezzi, uomini, risorse, finanze maggiori di quelli che aveva la vecchia loggia massonica occulta: quattro amici al bar stabilivano chi doveva andare a occupare un posto... Qui si tratta di dare un indirizzo allo Stato, è un antistato ancora peggio...». Il sottosegretario dei Verdi, Paolo Cento, parla anche di «operazione di vero e proprio spionaggio industriale che ha danneggiato l’economia del nostro Paese». E il capo dei deputati verdi, Angelo Bonelli, chiede «seri controlli per stabilire se anche altri operatori di telefonia mobile possono aver messo in atto strategie di controllo sulla finanza, l’industria, le istituzioni o su singoli cittadini». Se il comunista Marco Rizzo vede l’Italia ancora nel «tunnel dei segreti», il ministro Alfonso Pecoraro Scanio sottolinea che occorrono «regole chiare sui servizi segreti».
All’unanime soddisfazione dei politici non corrisponde quella dei giornalisti. La Federazione nazionale della stampa parla apertamente di «bavaglio» e il presidente dell’Ordine dei giornalisti, Vittorio Roidi, spiega la preoccupazione: «Il decreto che impone di distruggere la spazzatura dello spionaggio illegale prevede pesanti multe per i direttori, vicedirettori e le aziende editoriali. È una limitazione della stampa? Certamente sì, ma va sottolineato che i giornalisti corretti la spazzatura non la mettono mai in pagina, la rifiutano e la buttano nel cestino. E lo facevano già prima del decreto...». Il guardasigilli Clemente Mastella si dichiara «dispiaciuto come giornalista che la Fnsi parli di bavaglio.

Non lo è, qui non c’è in ballo la libertà di informazione, ma la necessità di tutelare cittadini che vengono prima intercettati, su telefonate di carattere personale e che non hanno nessun rilievo di carattere giudiziario, e poi sbattuti a loro insaputa sui media».

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