Non potrà più nascondersi dietro ad un certificato medico. Salvatore Volponi, l'ex datore di lavoro di Simonetta Cesaroni, l'impiegata uccisa il 7 agosto del 1990 con 29 coltellate negli uffici romani dell'associazione italiana Ostelli della Gioventù, dovrà presentarsi davanti ai giudici della Corte d'Assise che stanno processando per il delitto Raniero Busco, l'ex fidanzato della vittima. I malesseri di Volponi, usati in più di un'occasione per giustificare il suo rifiuto a testimoniare, non sono tali da impedirgli di rispondere alle domande della Corte. Lo ha stabilito una perizia effettuata dal neuropsichiatra Piero Rocchini, incaricato dai giudici di esaminare Volponi per valutarne la capacità di presenziare al processo e rispondere alle domande di magistrati, avvocati a giornalisti. La risposta dell'esperto è stata chiara: è vero, Volponi è affetto da disturbo bipolare, ma è perfettamente in grado di venire in aula a dire tutto quello che sa sul delitto di via Poma. E la sua è tutt'altro che una figura secondaria. Volponi, infatti, ha sempre sostenuto di non essere mai stato nell'ufficio dove lavorava la vittima. E infatti la sera in cui è stato trovato il cadavere di Simonetta, il suo allora datore di lavoro ha perso tempo, in preda all'agitazione, prima di portarci la sorella Paola che la cercava disperatamente dopo il suo mancato rientro a casa. Ma alcuni testimoni, in aula, tra i quali la moglie del portiere Pietrino Vanacore, hanno sostenuto il contrario: Volponi era già stato in via Poma.
Al neuropsichiatra il testimione ha confidato che l'idea di dover affrontare di nuovo giudici, avvocati e giornalisti gli crea «un'angoscia che lo distrugge». «Sentire ancora il mio nome nei telegiornali o sui giornali - ha detto Volponi a Rocchini - mi manderà sottoterra». Dalla relazione medica consegnata alla Corte emerge la figura di un uomo «moderatamente depresso con una forte componente ansiosa, in parte relativa alle vicende processuali in cui è coinvolto, che a tratti assume caratteristiche fobico-ossessive». Il medico legale nega la presenza di «intenzioni autolesive» in Volponi e conferma «la sua piena capacità di rievocare in maniera sufficientemente obiettiva e precisa eventi che direttamente o indirettamente lo hanno coinvolto». La sua fragilità emotiva sarebbe «accentuata più dalla componente fobico-ossessiva che dall'elemento depressivo, soprattutto di fronte ad eventuali contestazioni o nel sostenere confronti». Nessuna controindicazione, dunque, alla deposizione. Meglio se svolta con una qualche forma di tutela che eviti al testimone «un ingorgo emotivo».
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