Denuncia da Hong Kong: la Cina ci lava il cervello

Sono passati 14 anni da quando Hong Kong è stata restituita alla Cina dai britannici e le differenze con la cosiddetta «terraferma» sono tantissime. Ma ormai alzare la bandiera cinese e cantare l'inno nazionale sono diventati parte della routine quotidiana in molte scuole, come pure nelle classi si insegna il cinese, la storia della Cina, il maoismo e la sua cultura.
Ma per i governanti di Pechino non sembra bastare. In base a recenti disposizioni, infatti, le scuole primarie e secondarie di Hong Kong dovranno, a partire dal prossimo anno, seguire dei programmi obbligatori speciali di «educazione patriottica nazionale». Le lezioni di patriottismo non prevedranno esami, ma le performance dei singoli alunni saranno valutate dagli insegnanti, dai genitori e dai compagni di classe utilizzando parametri quali «la felicità del bambino di sentirsi cinese» o «prendere in considerazione le esigenze del Paese al momento di pianificare il proprio futuro».
C'è già chi, specie attraverso la rete e i vari microblog, parla di «lavaggio del cervello». «Per quanto riguarda l'educazione morale e nazionale a Hong Kong nelle scuole primarie e secondarie - si è però affrettato a rispondere Hao Tiechuan, direttore del dipartimento di pubblicità, cultura sport e spettacolo del governo di Hong Kong - alcune persone dicono che equivale a un lavaggio del cervello. Ma se guardiamo a questi sistemi nei Paesi occidentali come anche ad esempio negli Stati Uniti e in Francia, troveremo che questo tipo dì lavaggio del cervello necessario è una convenzione internazionale».
Il capo del governo di Hong Kong, Donald Tsang, in realtà aveva sollevato l'idea di prevedere nelle scuole l'educazione patriottica obbligatoria sin da quando il presidente cinese Hu Jintao aveva trattato il tema in una sua visita nel 2007 ma il progetto in seguito non era stato portato avanti. La decisione del governo di Pechino non sembra comunque riscuotere grande favore tra la popolazione di Hong Kong, che si sente ancora «indipendente» dalla Cina e che difende a denti stretti il proprio stile di vita, ancora per molti aspetti «poco cinese».
Ma è proprio questa indipendenza che sembra dar fastidio a Pechino. Xi Jinping, destinato a diventare segretario generale del Partito Comunista e presidente cinese alla fine del prossimo anno, in una sessione privata il 4 marzo, ha avvertito i delegati di Hong Kong a livello nazionale che l'ex colonia britannica era troppo indipendente. Hong Kong è una Regione Amministrativa Speciale (SAR) della Cina dal 1° luglio 1997, e ciò che rende la città «speciale» sono l'autonomia di alto grado e la libertà - di religione, di espressione e di assemblea - che sono sanciti nella sua Legge fondamentale. La prima risposta del Partito comunista rispetto alla situazione di Hong Kong è stata quello di tentare di usare la legge per mettere fine alla libertà di parola. Tentativo tuttavia fallito nel 2003, quando circa un milione e mezzo di abitanti si riversarono nelle strade in segno di protesta.

Tuttora Hong Kong è il luogo dove possono trovare asilo libri vietati in Cina e dove la censura (su internet e nei media in generale) non è ancora arrivata, perlomeno non nelle forme in cui è invece presente nel resto della Cina. Differenze culturali e sociali che tuttora persistono e che rendono la gente del posto nervosa e preoccupata in prospettiva delle nuove disposizione «patriottiche».

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