Nonostante il continuo rafforzamento militare del suo esercito, lo sviluppo di mezzi da combattimento all’avanguardia e la riorganizzazione dei rapporti diplomatici, la Cina potrebbe non ancora essere in grado di fronteggiare gli Stati Uniti nel caso in cui le tensioni tra questi due Paesi dovessero trasformarsi in un conflitto aperto. Parola del think tank statunitense Rand, che ha dedicato un lungo paper al tema in questione. Si intitola Is China Prepared for War? e analizza la nuova fantomatica strategia globale usata da Pechino per ampliare la portata militare nazionale negoziando accordi di accesso a nuove basi estere. Ebbene, mentre l’utilità di questa basi in tempo di pace risulterebbe chiara ed efficace, lo stesso non potrebbe dirsi in tempo di guerra.
Una strategia da rivedere
La Cina sta mediando accordi internazionali per estendere la "portata" dell'Esercito popolare di liberazione. Gli autori del suddetto rapporto hanno esplorato la strategia militare cinese per le sue basi all'estero, soppesando l'utilità delle stesse durante una guerra.
Risultato: Washington fa bene a monitorare simili strutture ma, a detta di Rand, è improbabile che queste possano trasformarsi in una minaccia per gli interessi Usa nel breve-medio periodo. Al momento, dunque, la Casa Bianca non avrebbe di che preoccuparsi. Come se non bastasse, qualsiasi spostamento delle forze cinesi verso la conduzione di ipotetiche operazioni offensive sarebbe accompagnato da indicazioni e avvertimenti specifici che il governo americano potrebbe monitorare.
Detto altrimenti, se la Cina ha davvero intenzione di gareggiare con gli Stati Uniti creando nuove basi militari oltre la Muraglia e potenziando il proprio apparato militare, una simile strategia non sarebbe in grado di impensierire gli Usa. Il gap militare tra le due super potenze, spiegano vari esperti, è infatti ancora troppo elevato.
Il piano della Cina
Il rapporto Rand identifica tuttavia i Paesi con i quali la Cina ha o vorrebbe stipulare accordi per ottenere l’accesso a strutture militari dislocate sul loro territorio, in un chiaro tentativo di sfidare il potere americano. Questi Paesi coincidono con Cambogia, Guinea Equatoriale, Namibia, Isole Salomone, Emirati Arabi Uniti e Vanuatu. Oltre a questi Stati, Newsweek ha riferito che la Cina sta cercando l’accesso anche alle basi in quel di Cuba, Pakistan, Tanzania, Sri Lanka e Myanmar. Ricordiamo che al momento Pechino gestisce una base logistica a Gibuti e un avamposto paramilitare in Tagikistan.
Al netto degli accordi sulle citate strutture, gli analisti si sono soffermati sulla mancanza di piani o capacità da parte della Cina di utilizzare basi straniere per azioni offensive contro le forze statunitensi prima del 2030. Al contrario, la priorità di Pechino sembrerebbe coincidere con la protezione delle rotte commerciali marittime e la risposta a possibili blocchi statunitensi.
Il paper Rand ha evidenziato infine le sfide significative che l’esercito cinese dovrà affrontare nello sviluppo e nel sostegno di queste basi, inclusa l’affidabilità politica delle nazioni ospitanti, le
questioni di supporto logistico e la sicurezza della base. Ammesso e non concesso che la strategia cinese sia veramente da intendere come militare, il Dragone dovrà sciogliere ancora molti nodi prima di impensierire gli Usa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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