«Dio salvi la regina» Londra festeggia gli 80 anni di Lilybet

nostro inviato a Londra
L’aria è fredda, non è ancora primavera, il vento porta pioggia finissima e poi improvvisamente squarcia il cielo sopra la reggia. Oggi Elizabeth Alexandra Mary compie ottant’anni. Farà festa privata, con Filippo e i parenti, alcuni maggiordomi ma soprattutto Linnet, Emma, Monty, Holly, Willow, Cider, Berry, Candy e Vulcan, i cani, corgis e dorgis (ibrido) presenti comunque e dovunque, in aereo, nel castello, a bordo lago, a Balmoral o Windsor, a Sandrigham, dove la comitiva si allarga con labrador e cocker spaniels. La festa grande è fissata per il diciassette di giugno, così è permesso ai sovrani, usanza antica, per evitare che il popolo e i re danzino al freddo e al vento, l’estate inglese non tradisce.
Il Regno è davvero unito, la regina di Gran Bretagna e dell’Irlanda del Nord mette assieme tutti i sudditi e non soltanto, anche quelli repubblicani e anti Windsor a prescindere. Perché Elisabetta II non rappresenta un Paese, la sua politica, le sue strategie, gli interessi economici, la propaganda elettorale. Elisabetta II è una fetta della storia di molti che non hanno nemmeno mai visto l’isola britannica ma che di quella terra sentono il fascino e la bizzarria, l’anacronismo e la modernità, il fumo del carbone, la musica dei Beatles, il bus a due piani, il cambio della guardia, il tè alle cinque, la guida a destra e la sterlina che non accetta eurocompromessi. Elisabetta regina è una zia, una nonna, la professoressa di inglese, la vicina di casa, è questo e altro ancora, da quella mattina del ventuno di aprile del Ventisei quando, con parto cesareo, venne alla luce in una clinica al 17 di Bruton Street, che sta in Mayfair. Il ministro degli Interni, sir William Joynson-Hicks, si premurò che non fosse effettuato uno scambio di neonati, vista l’importanza della creatura.
Le fotografie di quei primi anni mostrano una pupattola dagli occhi belli, già ingioiellata con perle al collo e con le dita delle mani come salsicciotti. Quest’ultimo dato l’avrebbe portata in seguito a scegliere di calzare, in pubblico, i guanti, per evitare che i perfidi fotografi si divertissero eccessivamente sui tabloid. La sua governante si chiamava Marion Crawford, nota preziosa perché Crawfie, come era stata ribattezzata la tata, ha cresciuto la principessa non soltanto con le torte al limone, ma l’ha portata a spasso in metropolitana, in mezzo al popolo che non conosceva quel trio, di cui faceva parte anche Margaret Rose, secondogenita, birichina, estroversa il contrario del carattere discreto, prudente di Lilybet. Crawfie, in verità, approfittò della cosa al punto da accettare tremila sterline da un editore e scrivere un libro La piccola principessa, i Windsor la cancellarono.
La famiglia del conte e della contessa di York viveva al 145 di Piccadilly. L’adolescenza non fu da dolce vita, di mezzo la morte di Giorgio V, poi la storia d’amore di Edoardo VIII e Wallis Simpson, quindi l’ascesa al trono di Giorgio VI e il nazismo che faceva paura. Le bombe arrivarono a bruciare una parte di Buckingham Palace, Elizabeth si mise sull’attenti per la sua Patria, da luogotenente, guidava i camion dell’Ats, il Servizio dei Trasporti Ausiliari, la fiaba della principessa prevedeva queste variazioni. Ma anche la classica storia d’amore: il dieci luglio del Millenovecentoquarantasette venne annunciato il fidanzamento della principessa con il luogotenente Philip Mountbatten che Elizabeth, aveva conosciuto quando aveva tredici anni. Il matrimonio fu celebrato a novembre, nello stesso mese, un anno dopo nascerà Charles. Poi arriverà Anna nel Cinquanta mentre il padre, Giorgio VI incominciò ad accusare i primi sintomi della malattia. Il re aveva cinquantasei anni quando morì la sera di un 6 febbraio. Era il 1952, Elizabeth e il marito erano in viaggio di rappresentanza in Kenya, la notizia arrivò in Africa quattro ore dopo. Lilybet aveva venticinque anni. Partita principessa, tornò regina, di nero vestita, fu accolta all’aeroporto di Londra da Winston Churchill e dal capo dell’opposizione Clement Attlee. Qui incominciò l’altra sua vita, con la corona sul capo. La corona, il simbolo del regno, porta 2.868 diamanti, 273 perle, 17 zaffiri, 11 smeraldi, 5 rubini, per un totale di 910 grammi. Secondo la testimonianza di un maggiordomo di corte la regina è usa portare sul capo, per allenamento, un sacchetto di zucchero di ugual peso. Lo stesso maggiordomo ha colto di sorpresa sua Altezza mentre indossava pantofole rosa e passeggiava per i corridoi di Buckingham leggendo la posta. Perché la regina deve sbrigare un monte di cose: si contano 387.700 onorificenze concesse, tre milioni di telegrammi, undici primi ministri ricevuti ogni martedì sera, da Churchill a Eden, da Mac Millan a Douglas-Home, da Wilson a Heath, da Callaghan alla Thatcher, da Major a Blair, visite di Capi di Stato, prelati, papi, viaggi in Oriente e Sudamerica, Europa e Stati Uniti, eppoi le disgrazie, la morte di Diana, di Margaret, della regina Madre, le tresche di Carlo e di Anna, il divorzio di Andrea, l’annus horribilis, addirittura le quote degli scommettitori che puntavano sulla fine della monarchia prima del 2000, il sangue di Belfast e le bombe dei terroristi nella metropolitana londinese. Eppure Elisabetta Alessandra Maria non ha mai perso l’equilibrio, a differenza degli altri Windsor. Ha continuato a frequentare una vita silenziosa, amando la campagna e un po’ meno i giardini, cavalcando, andando a caccia, seguendo da grande esperta le corse ippiche, tifando per i colori della sua scuderia (giubba viola con cucitura dorata, maniche rosse, berretto di velluto nero con frangia dorata), consegnando nella royal tribuna di Wembley la coppa d’Inghilterra e quella Rimet ai vincitori nel football, posando, a Buckingham, con l’immancabile corgi Emma tra i piedi, al centro della nazionale di rugby inglese campione del mondo, ricevendo a colazione (menù leggero, filetto bordolese, carote al dragoncello, fagiolini, patate, insalata, torta al limone, vino rosso e bianco e champagne), i coscritti del Ventisei, stringendo mani tremanti, accarezzando i feriti, tenendo al braccio la borsetta, da sempre, per sempre, portando in testa cappelli di mille colori, figurando in 139 ritratti ufficiali, mirabile quello di Andy Warhol, portandosi appresso la storia di un Paese che ha cambiato mode e abitudini, conservando lo stile di sempre. Quando a New York sono le sette del mattino, diceva un perfido umorista americano, a Londra è il 2 dicembre del Quarantanove. Sul palazzo di Buckingham oggi sventola la bandiera e i cannoni sono pronti a sparare i colpi a salve. La proprietaria dell’immobile compie ottant’anni, avrà posato su un tavolo il sacchetto di zucchero, verrà circondata e annusata dai cani, attenderà l’arrivo di Camilla, chiederà a Filippo notizie sul trasloco a Windsor, riceverà il bacio di Carlo, Edoardo, Anna e Andrea.

Oggi è venerdì, giorno di paga per gli usi di questa terra. I pub sono pronti a fare il pieno. Dio, intanto, continui a fare quello che tutti gli hanno chiesto: salvi sua Maestà Elisabetta Alessandra Maria. La regina. Oh yes.

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