La dittatura laica del dio narciso

Agli incontri delle giornate internazionali e di studio del Centro Pio Manzù sul tema, più risentito che in altre occasioni, del confronto tra civiltà, «La vita in bilico», non mancava di impressionare il confronto fra la bella e giovane imprenditrice musulmana Maha Al-Ghunaim e il ministro degli Esteri della Liberia, Wallace. La prima, applauditissima, mostrava il volto buono e ricco del mondo islamico, così facilmente associato alla violenza e al terrorismo: la giovane Maha reclamava invece la sua indipendenza femminile anche solo nel vestire e nell’indicare prospettive di dialogo, di sviluppo, di libertà. Una donna intraprendente, capace di portare la sua azienda da un volume di 50 milioni di dollari a uno di 7 miliardi di dollari. Insieme al suo aspetto elegante e fiero, questa capacità di impresa ha molto impressionato.
Il ministro degli Esteri liberiano, invece, in rappresentanza della sua presidente Ellen Johnson–Sirleaf, mostrava ottimismo sul futuro del suo Paese e piena fiducia nella nuova direzione politica, ma descriveva contemporaneamente un presente molto allarmante: 3 milioni e mezzo di abitanti, 80 per cento di disoccupazione, 163 dollari di reddito pro capite per chi lavora, mezzo dollaro al giorno per il resto della popolazione, media di vita a 39-40 anni. Difficile non avvertire il profondo contrasto delle esperienze testimoniate dalle due personalità sedute una a fianco dell’altra.
Le osservavo, meditando alle riflessioni che avrei dovuto di lì a poco illustrare in nome di una visione neo illuministica curiosa del diverso e della varietà del mondo. Tutto si è svolto nel secolo ventesimo, il secolo del mondo in bilico. Si è passati dall’Ottocento, stagione delle indipendenze nazionali ma di una profonda integrità della cultura, senza contaminazioni e integrazioni, ma alti muri e confini che separavano le civiltà, a un Novecento attraversato da conflitti fino al parossismo, per incomprensione e impenetrabilità di visioni: prima l’Olocausto, poi le tragedie del comunismo, infine la sovrapposizione e la difficile convivenza di culture, religioni e civiltà, il dominio della molteplicità, le società aperte e multirazziali fino al momento tragico e simbolico dell’abbattimento delle due Torri a New York. Così si inaugura tragicamente il nuovo millennio.
Difficile uscire da questo scontro di intolleranze, da questa gara di integralismi, di cui le religioni sono i simboli, prima spirituali e poi economici. «La mia religione è meglio della tua». «Il mio Dio è più buono del tuo». Al culmine del politicamente corretto e della visione laica si presuppone che tutti non debbano soltanto essere, ma apparire uguali. Così alcuni Stati, decidendo la libertà delle donne al di là della loro stessa volontà, stabiliscono di proibire il velo. Un’amica tunisina osserva giustamente che nessuno penserebbe di chiedere di toglierlo a suore cattoliche presenti in manifestazioni pubbliche o in una università. Né d’altra parte io, quando mi trovo a fare conferenze, mi preoccupo che davanti a me ci sia un monaco buddista, un prete cristiano, un musulmano devoto, un ebreo, con gli abiti e i simboli della loro religione. Anzi, me ne compiaccio e non li vorrei in borghese, come quando scopro, con disappunto, che una persona in camicia e blue jeans è un parroco o un sacerdote. Niente di male, ma lo vedo diminuito di aura.
E, mentre medito su questi temi, il mio vicino, l’indiano Gurcharandas, mi parla delle religioni indiane politeiste che sono evidentemente più disponibili a riconoscere la varietà degli dei e si compiace di elaborare per le religioni in conflitto sul primato dell’una o dell’altra il termine di narcisismo teologico: «Il mio Dio è più bello del tuo», anzi «il mio è il solo dio». Chi ne ha uno solo preferisce credere che ce ne sia uno solo. Non gli è sufficiente la fulminante battuta di Stanislav Lec: «Tutti gli dei erano immortali». Allora la questione riguarda il rapporto fra le religioni e il potere, le religioni e la storia, la compatibilità della idea di dio con i principi della democrazia verso cui si indirizzano gli Stati moderni. La dimensione teocratica del potere politico nell’Islam impedisce la divisione tra la sfera religiosa e quella civile. E se in Occidente la religione tende a essere sempre di più un fatto personale, nel mondo islamico questo processo è molto più difficile. La religione occupa, in maniera ingombrante, il costume e la vita.
Per lungo tempo, questa dimensione ha caratterizzato anche la religione cattolica. Ma troppe rivoluzioni intellettuali, dall’Illuminismo all’Esistenzialismo, hanno minacciato la visione e la persistenza di un pensiero unico. Può essere interessante, in questa direzione, riflettere anche alla discussa affermazione di Berlusconi sulla superiorità dell’Occidente. Difficile sostenerla, quando immediatamente si accesero le polemiche, sul piano teologico, o filosofico, o della intelligenza del cristiano rispetto al musulmano, ma certamente indiscutibile sul piano politico, dei diritti civili, delle garanzie per le donne, della organizzazione dello Stato e del suo sistema di governo, in una parola, della democrazia. Difficile immaginare per i cittadini una vita democratica vera in Libia, Marocco, Algeria, Tunisia, per parlare degli Stati più vicini, dove la vita politica è così diversa dalla nostra, a una sola ora di distanza in aereo. Non soltanto la ricchezza, ma anche la democrazia, rendono così attraenti i Paesi d’Europa. E non solo per gli extracomunitari che arrivano a Lampedusa.
Sull’ultimo numero del settimanale Tempi è riportato un passo interessante di un’intervista del giornalista David Aikman a un influente intellettuale cinese: essa argomenta in modo convincente la scandalosa affermazione di Berlusconi: «Una delle cose che ci è stato chiesto di studiare è la ragione del dominio dell’Occidente sul mondo. Abbiamo studiato tutto quello che abbiamo potuto dal punto di vista storico, politico, economico e culturale. Quindi abbiamo pensato che voi aveste il sistema politico più avanzato. In seguito ci siamo concentrati sul vostro sistema economico. Ma negli ultimi vent’anni abbiamo concluso che il cuore della vostra cultura è la vostra religione, il Cristianesimo. Questa è la ragione per cui l’Occidente è diventato così potente. Il fondamento morale cristiano della vita sociale e culturale è il fattore che ha reso possibile l’emergere del capitalismo e la transizione a una politica democratica. Non abbiamo più dubbi su questo punto».
Ha ragione l’influente intellettuale cinese, o l’amico indiano Gurcharandas? È forse il culmine o un eccesso di narcisismo teologico a farci credere (ma anche al cinese) che nessuna religione sia più compatibile con la democrazia e con lo sviluppo economico di quella cristiana: e come sarebbe un mondo senza religioni? E non sarebbe forse più opportuno pensare che ogni religione monoteista è la stessa sotto abiti diversi? Le religioni si combattono, alla fine, per ragioni non religiose.

Esse diventano lo scudo di altri interessi: quanto più la religione investe la coscienza e non la società, tanto più gli uomini sono liberi e pronti a rispettarsi, in nome della comune umanità, e non di un dio narciso (per proiezione del desiderio dell’uomo).

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