Diventa orazione la nostalgia di Sciascia

Inutile cercare di ridurlo in una definizione netta: La notte delle lucciole che Marco Baliani (coideatore e interprete) e Roberto Andò (autore della drammaturgia e regista) presentano queste sere a India (Sala A) non è uno spettacolo convenzionale. Somiglia, semmai, a un’orazione civile che del teatro mantiene l’urgenza, la necessità di dire, la solennità del comunicare. Una specie di lectio magistralis costruita sulle parole di Sciascia (e in misura minore su quelle di Pasolini) ma rivolta essenzialmente a se stessi, ai giovani, a tutta l’assemblea dei convenuti. Quasi fosse un monito, un j’accuse sommesso e malinconico rivolto contro la barbarie odierna che rifulge però per acutezza di pensiero e per letteraria compostezza. L’inizio è lirico, nostalgico. Rappresenta l’avvio - e, dopo un’ora e più di spettacolo, anche la conclusione - di un discorrere pacato, a tratti persino austero, dove poesia e nostalgia virano semmai verso una riflessione sulla Storia, sulla società, sui valori, sugli ideali di ieri e di oggi. Baliani, bravissimo, siede quasi ai limiti del proscenio; legge pagine di Sciascia come le leggerebbe a casa sua, in silenzio; si immedesima anzi nello scrittore di Racalmuto e, tanto più, ne incarna l’incisività speculativa, critica, raziocinante. Quella più adatta a imbastire un «ideale» dialogo con Pasolini e a riconoscere nell’opera dell’intellettuale friulano qualcosa di sé: la stessa capacità premonitrice nell’intercettare i cambiamenti epocali, la stessa preoccupazione di fronte al capitalismo, al consumismo, allo scadimento morale propri della modernità, lo stesso rimpianto, in definitiva, per quel mondo contadino dove era ancora possibile che le lucciole rischiarassero l’oscurità dell’imbrunire. Il tutto calato nell’astrazione (auto)biografica di un’aula scolastica che rimanda a Kantor, dove banchi di legno diventano luoghi di ascolto per sei ragazzi/alunni chiamati a cucire passato e presente.

E dove la figura di un vecchio canuto (Coco Leonardi) sembra evocare proprio quel nostalgico legame con la terra, con la natura, con il popolo che i nostri due scrittori, pur se in modi diversi, hanno collocato nello scrigno prezioso di una società al tramonto.

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