Una Domus poco aurea

Allarme anche per le Terme di Caracalla e per il degrado del Palatino

Una  Domus poco aurea

Ancora una volta l’azione della intelligenza contro l’indifferenza fa sembrare un ministro in carica un esponente dell’opposizione. Tale appare Rocco Buttiglione, uomo sensibile e abile quando stimola il governo a rinunciare anche agli ultimi tagli ai Beni culturali nel passaggio della Finanziaria alla Camera dei deputati, dopo avere ottenuto dal Senato il risarcimento dei fondi per lo spettacolo. Restano ancora 48 milioni di tagli che, per Buttiglione, «devono essere ritirati tutti». Sono fondi necessari al funzionamento degli uffici di tutela, delle biblioteche, degli archivi. E Buttiglione chiede al governo di assumere una posizione non passiva, non inerte davanti al patrimonio artistico, indicando nei fatti una politica culturale diversa da quella indicata e offerta fin qui. La questione, avverte, «è politica: l’Italia deve decidere se vuole farsi carico dei suoi beni culturali».
Lapidario ed efficace, forse Buttiglione non sarebbe stato registrato in questo ennesimo sussulto di interna protesta se non avesse dato prova della situazione drammatica con un’ordinanza del suo ministero: la chiusura, per rischio di crolli, della Domus Aurea. La decisione ha avuto un enorme riscontro mediatico. E non è una scelta obbligata, giacché la Domus Aurea doveva essere chiusa soltanto in alcune parti e altri monumenti potevano essere chiusi per analoghe condizioni di rischio. Buttiglione ha scelto la Domus Aurea perché esso è stato il simbolo dell’attivismo e dell’ottimismo veltroniano. Il restauro e la riapertura della Domus Aurea furono uno dei segnali di rinnovamento dell’amministrazione dopo anni di inerzia. Insieme alla Galleria Borghese, la Domus Aurea ha rappresentato il tempo della differenza, la nuova considerazione del patrimonio artistico, la sua centralità negli obiettivi dei governi di centrosinistra. Nulla impediva che questa politica fosse perseguita e continuata anche dal centrodestra, non essendovi ragioni di contrasto sul piano dei principi rispetto a questa materia. Ma ciò non è stato con gravi danni di immagine, sottovalutati dallo stesso Berlusconi proprio per avere mostrato poca attenzione per il patrimonio artistico, per inconsapevolezza, per indifferenza e talvolta perfino per autolesionismo come nell’incredibile vicenda della «Patrimonio Spa» che decideva la vendita indiscriminata dei beni artistici di proprietà demaniale. Vendita tanto opportuna quanto distinta in una giusta considerazione tra ciò che è proprietà, magari inerte, inutile, dello Stato e ciò che è proprio dello Stato, come suo simbolo ed emblema.
Il paradosso della norma è ora davanti a tutti. Con uno Stato indifferente non è chi non veda che qualunque privato avrebbe gestito meglio la Domus Aurea. A Roma ci sono cinquantasei siti archeologici di cui quarantotto chiusi non diversamente da come è oggi per la Domus Aurea. Nessun romano della mia generazione, anche tra gli uomini colti, ha avuto la possibilità di vedere una delle più straordinarie e integre testimonianze dell’antichità: la Basilica Neopitagorica, chiusa da più di trent’anni.
Buttiglione, con la chiusura della Domus Aurea, ha posto la questione in termini drammatici salvandosi dall’inferno per ciò che riguarda la propria coscienza, ma evidenziando uno storico errore di prospettiva (e di direzione) del governo: le grandi opere vanno verso il passato, non verso il futuro.
Investire nel patrimonio artistico vuol dire scegliere la strada non della modernizzazione a tutti i costi ma della salvaguardia di valori ben più importanti di cui i cittadini sono individualmente più consapevoli dei loro rappresentanti. Lo ha dimostrato in un analogo campo l’impresa di Slow Food e di Terra madre, voluta da Carlo Petrini, in contrapposizione e in risposta alla minacciata invasione dei fast food che pure sono stati un momento di illusione che l’Italia fosse come l’America.


L’Italia «è» in quanto «non è» l’America: è la Domus Aurea, è la Rotonda del Palladio, è Villa Serena a Piacenza, è Capodimonte, è il Sacro Monte di Varallo, è tutto quello che altrove desiderano e non hanno. Per questo forse il gesto di Buttiglione non è una chiusura ma è un’apertura, l’indicazione di un’altra strada, l’unica percorribile, per un buon governo.

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