Don Gnocchi beatificato il 25 ottobre

Le campane di Colombano al Lambro, città natale di don Carlo Gnocchi a due passi da Milano, suonano a festa alla notizia che il «prete dei mutilatini» sarà beato. Sacerdote di quel cattolicesimo lombardo che arriva fino a don Luigi Giussani e che bene esprime quella grande razionalità della fede mista ad un radicamento nel popolo: cattolicesimo che vede il prete in mezzo alla gente, che dà vita agli oratori, che gioca a calcio, che porta i ragazzi in montagna e che non si fa mai scoraggiare da niente.

Gioia di Milano alla «buona notizia» che con una lettera alla diocesi il cardinale Dionigi Tettamanzi ha ufficialmente annunciato: Benedetto XVI beatifica don Carlo Gnocchi. Solenne beatificazione che si terrà a Milano il 25 ottobre, in occasione dell’anniversario della sua nascita. Nelle scorse settimane, Benedetto XVI ha infatti autorizzato la pubblicazione del decreto che attribuisce a don Gnocchi il miracolo che ha visto protagonista il 17 agosto 1979, Sperandio Aldeni, elettricista di Villa D’Adda. Sopravvissuto a una mortale scarica elettrica.

Quel giorno, un collega di Aldeni mise in moto una cabina di trasformazione, Sperandio ricevette una scarica elettrica di 15mila volt, tre volte quella utilizzata nelle esecuzioni capitali. Tutti pensarono fosse già morto ma lui, non solo non stava morendo, ma raccontò poi che pregava don Gnocchi, di cui era devotissimo. Il 7 agosto 1980 l’Inail lo dichiarò clinicamente guarito. Quel miracolo è stato l’ultimo passo che ha chiuso positivamente il processo di beatificazione avviato nel 1986 dal cardinale Carlo Maria Martini. «Così un altro figlio della nostra diocesi, un nostro sacerdote, con la sua beatificazione renderà ancor più ricca la già numerosa schiera di Beati e di Santi ambrosiani che veneriamo come intercessori presso il Signore e luminosi esempi di vita» comunica con «gioia» l’arcivescovo di Milano. Nella sua lettera il cardinale Tettamanzi ricorda la vita e le opere di don Carlo Gnocchi. Che lo vedono anche cappellano militare sul fronte russo. Un coraggioso cappellano che sopravvive miracolosamente alla battaglia di Nikolajewka e decide di dedicare la vita alla memoria degli alpini morti nella drammatica ritirata di Russia.

Tornato in Italia, don Carlo, si occupa dei loro orfani, dei piccoli «mutilati» dalle bombe e dei poliomielitici. «Erano ragazzi vittime innocenti della devastazione della Seconda guerra mondiale» aggiunge il cardinale. È nel loro nome che don Gnocchi realizzerà una delle più importanti opere di carità del dopoguerra, una realtà oggi di prim’ordine nel panorama socio-sanitario del nostro Paese: ventotto centri in nove Regioni d’Italia, con quasi 4mila posti letto e oltre 5mila operatori al servizio di disabili, anziani non autosufficienti, malati terminali e persone in stato vegetativo. «Di tutto questo “dolore innocente” don Carlo volle essere custode e ministro, perché non fosse disperso, ma raccolto e trasfigurato dall’amore di Cristo crocifisso e risorto» osserva il cardinale Tettamanzi. Un tesoro che don Carlo, «seminatore di speranza» come lo definì Giovanni Paolo II, ha trasmesso a noi «da vero uomo di Dio, totalmente affidato al Signore Gesù, “roveto ardente” della sua vita, del suo ministero e del suo slancio apostolico». Morì «consumato dalla fatica e dalla malattia» la sera del 28 febbraio 1956, «l’ultimo suo gesto profetico, quando in Italia il trapianto di organi non era ancora diffuso, fu la donazione delle cornee a due ragazzi non vedenti».

«Toccanti» - conclude l’arcivescovo Tettamanzi nella sua «buona notizia» alla diocesi - «furono le parole di un bambino, uno dei suoi ragazzi portato al microfono per un ultimo saluto: “Prima ti dicevo ciao don Carlo, adesso ti dico ciao san Carlo».

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