Le donne di Hamas scudi umani contro Israele

Gian Micalessin

Sono cadute per salvare i loro uomini, sono le donne scudo di Hamas, sono le madri e le sorelle dei militanti pronte all’estremo sacrificio pur di strapparli dalle mani degli israeliani. Inizia tutto nella notte intorno alla moschea di Al Nasr. Dentro a quel luogo sacro nel cuore di Beit Hanun, la città poligono nel nord della Striscia di Gaza usata per bersagliare i centri abitati israeliani, sono trincerati da giovedì una sessantina di uomini armati di Hamas e altri gruppi armati.
Poco prima dell’alba il loro destino sembra segnato. I carri armati israeliani appoggiati dagli elicotteri e seguiti dalle forze speciali di Tsahal avanzano nel centro abitato. Un bulldozer blindato ha già aggredito il muro perimetrale della moschea. I megafoni avvertono che tra poco l’edificio verrà fatto crollare, intimano di uscire con le mani alzate D’improvviso le radio della striscia e gli altoparlanti delle moschee lanciano un unico messaggio di aiuto. Chiamano a raccolta le donne, le invitano a scendere in strada per far scudo agli uomini intrappolati. In pochi minuti le walkirie di Hamas sono nei vicoli di Beit Hanun. Fantasmi neri pronti a regalar la propria vita pur di liberare figli e mariti. Sono più di duecento con i capi velati e le tuniche scure. Dietro a loro saltellano e si agitano i bimbi, si muove un codazzo di temerari curiosi. Il corteo avanza nei vicoli, evita le truppe israeliane, s’infila nella moschea assediata passando ad un metro dai mezzi blindati. Poi l’avventura diventa tragedia, la cronaca confusa. Loro, i militanti assediati, si mescolano tra le gonne delle loro salvatrici. Qualcuno si veste come loro indossando tuniche e veli portati dalle salvatrici. Escono a capo chino, con le armi abbassate, sfruttano quel soccorso velato per fuggire il più in fretta possibile. Tsahal beffato serra il cerchio, manda avanti i carri, fa volare a volo radente gli elicotteri.
Qui la cronaca si confonde. «Sparavano da dietro le loro stesse donne, si facevano scudo dietro a loro mentre ci sparavano», ripetono i portavoce israeliani. «Non appena hanno visto che i militanti fuggivano hanno aperto il fuoco a bruciapelo sul corteo», ripetono i palestinesi. Di certo due corpi neri s’afflosciano sull’asfalto, lo bagnano con il loro sangue. Quando le barelle le raccolgono, le donne sono già morte. A quel punto è il caos. Sparano gli israeliani, rispondono i palestinesi. Il corteo si lascia dietro scampoli di feriti, rigagnoli rossastri, urla di rabbia e dolore. Ma la disperata missione delle duecento donne raggiunge, alla fine, l’obbiettivo.
Tsahal è costretto a lasciar andare il corteo, a lasciar fuggire la preda già in suo pugno. Mentre il tetto della moschea cede sotto i colpi delle granate le sopravvissute esultano. «Abbiamo rischiato e donato le nostre vite per i nostri uomini», ulula di gioia la quarantenne Umm Mohammed, la mamma di Mohammed uscita viva e con il proprio figlio ventenne tra le braccia.
Le due donne cadute all’alba non sono comunque le uniche vittime della giornata. Tre miliziani di Hamas sono stati individuati abbattuti poco prima dell’alba mentre tentavano di lanciare un missile contro Israele. In tre giorni di combattimenti l’operazione “Nubi d’autunno“, come è stata battezzata l’ennesima operazione nel nord della Striscia è costata la vita a 34 palestinesi, la maggior parte dei quali militanti delle organizzazioni armate.
A Ramallah l’esercito ha arrestato, intanto, il ministro di Hamas, Abdel Rahman Zaidan. A Nablus reparti dell’esercito hanno neutralizzato un’autobomba dalle Brigate Martiri di Al Aqsa destinata a colpire una pattuglia israeliana.

Negli scontri seguiti subito dopo il ritrovamento dell’ordigno è caduto un giovanissimo militante del braccio armato di Fatah mentre suo fratello maggiore è rimasto gravemente ferito. Scontri armati si registrano anche intorno a Betlemme, dove sarebbe stata uccisa anche un’anziana donna.

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